Partiti e politici
Se Roma è paralizzata non è solo colpa di Marino
Se Ignazio Marino si fosse servito di un volo istituzionale come ha fatto Matteo Renzi per assistere alla finale degli Us Open di tennis tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci, o per la settimana bianca a Courmayeur, probabilmente le polemiche sarebbero già finite. Invece siamo costretti a subire finti i soliti finti scoop, in cui si gettano ombre sui costi sostenuti e indiscrezioni di ogni tipo sul viaggio a Philadelfia, tra cui un presunto compenso per la lezione tenuta alla Temple University, che Marino dichiara di non aver mai ricevuto.
Certo, le parole di papa Francesco e le dichiarazioni di monsignor Paglia “estorte” dalla trasmissione radiofonica “la Zanzara”, non contribuiscono a consolidare l’immagine del sindaco, ma nemmeno possono affossarla. Anche perché, il consenso del Vaticano non dovrebbe essere un prerequisito fondamentale in uno stato laico. La stessa arte di imbucarsi non è certo una specialità inventata dal sindaco di Roma, ma una tradizione tipica della politica italiana, ormai da decenni condannata al marginalismo. Anche Renzi, nel 2010, da sindaco di Firenze, fece carte false per “imbucarsi” alla Casa Bianca e scambiare due parole con Obama. Poco più di un minuto, per sentirsi dire che a Firenze ci sono i ristoranti più buoni del mondo e regalare, come scriveva il Corriere Fiorentino , “uno spilletta d’oro con il giglio e una bottiglia di Mormoreto”.
Questo non significa che Marino sia una vittima e che la richiesta di chiarimenti sul viaggio “siano polemiche create ad arte per danneggiare Roma”, come lo stesso sindaco ha ribadito nel video postato sul suo profilo Facebook. Al contrario, Marino, dopo aver resistito gli scorsi mesi alle richieste di dimissioni che arrivavano dall’alto, ha più di una colpa. La prima è quella di non essersi dimesso dopo la prima ondata di Mafia Capitale, consentendo a quella parte del Pd che lo osteggiava, di riorganizzarsi nel chiedere la sua testa periodicamente. La seconda, ben più grave, è quella di non aver mai coinvolto quella parte della città pronta a collaborare con le istituzioni, ritrovandosi ancora una volta solo. Il resto non è che una conseguenza delle decisioni prese dal Governo a fine agosto, quando invece di commissariare il comune di Roma, si è scelto di non decidere, sciogliendo il solo municipio di Ostia e lasciando al potere una classe politica ormai delegittimata, che si è nascosta dietro al sindaco e al commissario Pd Matteo Orfini, pur di allontanare lo spettro delle elezioni.
Neanche l’opera preziosa del prefetto Franco Gabrielli, che gira la città incontrando i comitati di quartiere, ha potuto porre un freno alla crisi di governance in atto: l’ex responsabile della Protezione Civile, anche in virtù della sua esperienza sul campo, è diventato subito un riferimento istituzionale credibile e riconosciuto, ma, come lui spesso ricorda, non possiede poteri superiori a quelli di un normale prefetto. In questo vuoto politico, un fatto di costume, come la trasferta americana del sindaco Marino e la presenza da “imbucato” accanto al Papa, viene trasformato in un caso di stato, mettendo in secondo piano la paralisi cittadina, causata soprattutto dalle faide interne al Pd nazionale e dalle lotte di potere che continuano a mettere a rischio la tenuta della città in vista del Giubileo. Solo due settimane fa il neo direttore generale di Atac, Francesco Micheli, aveva intimato ai partiti di fare un passo indietro, chiedendo di fermare le ingerenze politiche nella gestione della municipalizzata ai trasporti: “Solo così si salva Atac”. Oggi sono arrivate le sue dimissioni, dopo un contrasto con l’assessore/senatore Stefano Esposito. Uno dei tanti “spediti” dall’alto per dare una mano a Roma.
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