Partiti e politici

Se cade Marino, Roma sarà grillina. Forse il Pd e Renzi dovrebbero capirlo

7 Ottobre 2015

C’è chi in queste ore ipotizza “sussurrate dimissioni” del sindaco di Roma, Ignazio Marino, già da tempo pietra dello scandalo della narrazione renziana, slide riuscita male dell’ufficio comunicazione di “Leopolda s.p.a.”.

Il primo cittadino della Capitale non è un buon amministratore, inutile negare l’evidenza. Al netto del grande lavoro di alcuni assessori della sua giunta – da Estella Marino che ha chiuso la più grande discarica illegale del continente a Marta Leonori che sta liberando Roma da abusivismo e degrado – il sindaco è un lontanissimo e sbiadito ricordo di quel “Modello Roma” tanto bistrattato da commentatori “interessati” che rese la Capitale d’Italia la città con il PIL più alto d’Europa e cambiò in meglio la fisionomia della città, in centro come nelle periferie.
Vero è che le giunte Rutelli (che oggi torna a pontificare) e Veltroni godevano di ben altre risorse economiche, vero è che l’attuale sindaco ha denunciato, carte alla mano, lo stato di degrado di un’amministrazione reduce dal peggior governo dai tempi di Nerone, quello di quel Gianni Alemanno – già passato alla storia come “Aledanno” – che ha letteralmente depredato tutte le risorse possibili, lasciando enormi pozzi inquinati, a partire dalle municipalizzate “gonfiate” da migliaia di amici e parenti e oggi al collasso.

Ma come già detto da molti, l’onestà non basta. E probabilmente non basta neanche la buona volontà laddove mancano determinate capacità e una profonda conoscenza della città. Marino sta fallendo perché non conosce Roma e non riesce a entrare in sintonia con i romani. Ha anche evidenti limiti caratteriali, si fida di pochissime persone e questo non lo aiuta. Ad aggravare tutto, come spiega bene il giornalista Enrico Pazzi nel suo libro “Roma fa schifo”, le casse della città che sono vuote da tempo.

Ci sono poi fattori esterni che fanno da zavorra al suo già accidentato percorso, dall’inchiesta e l’imminente maxiprocesso su Mafia Capitale con le note ripercussioni su Giunta e Consiglio, alla continua guerra fredda con il Governo e con il premier Matteo Renzi che di fatto gli ha “scippato” il Giubileo, fino ai funerali del Casamonica e alle parole spazientite del Papa sulla sua presenza negli USA, con successive polemiche su spese, carte di credito, panda rossa e scontrini. Su tutte queste vicende, il sindaco ci ha messo indubbiamente il suo carico di inesperienza e ha palesato una comunicazione che a tratti è sfociata nella comicità.

Marino e Roma hanno bisogno di aiuto, un aiuto che può arrivare solo da quello che sulla carta dovrebbe essere il suo principale sponsor, quel Partito Democratico che in città è imploso dopo l’inchiesta di Pignatone e che è ormai commissariato da quasi un anno. Il partito – dato oggi ai minimi storici nella Capitale – vive ormai una perenne condizione di caos e ciò ha costretto il Nazareno a prorogare il mandato del commissario Matteo Orfini a tempo indeterminato, azzerando tutti gli organi decisionali.
Orfini, dal canto suo, viene già presentato da diversi organi di stampa come il “dopo Marino” e molti tra i suoi  “Giovani Turchi” sognano più o meno silenziosamente di vederlo sullo scranno più alto del Campidoglio, magari dopo aver ottenuto da Renzi il franchising del Pd a Roma. Ma i “ragazzi” – più o meno cresciutelli – fanno probabilmente i loro conti senza l’oste.

Verosimilmente, se Marino dovesse cadere prima della scadenza naturale e se si dovesse votare a Roma senza il traino di una campagna elettorale per le politiche, il Pd a Roma non vincerebbe neanche se candidasse Francesco Totti a sindaco e un redivivo Padre Pio da Pietralcina assessore al bilancio, figuriamoci col povero Orfini. Se si votasse oggi a Roma sarebbe un plebiscito per il Movimento 5 Stelle, che probabilmente appena ci sarà occasione candiderà Alessandro Di Battista a sindaco, ma potrebbe non disdegnare una riconferma di Marcello De Vito, mite avvocato dell’area più moderata del movimento, che forse attrarrebbe maggiori consensi dall’elettorato in fuga dal Pd rispetto a una “star” grillina come il parlamentare romano.

Al Pd non resta dunque che provare a tenersi l’odiato marziano (sperando che non combini altri guai) aiutandolo a governare la città, coprendo anche le tante “buche” del sindaco pasticcione. Ma contestualmente i democratici dovrebbero avviare una seria operazione di pulizia interna, “rottamando” quelle cattive pratiche che ancora sono in uso persino nel partito commissariato. E per farlo dovrebbero innanzitutto rinunciare alle piccole e grandi cordate senza senso, sia quelle che portano il nome di qualche decaduto “capobastone”, che quelle che si rifanno a sfortunati movimenti politici del secolo scorso, tornando a parlare della città alla città, anche sfruttando quei circoli sopravvissuti alla relazione di Barca e al crack finanziario. È probabilmente l’unica soluzione rimasta per evitare che Roma diventi la più grande delle conquiste grilline, uno scenario che forse più di un esponente di “Leopolda s.p.a.” ha messo in conto senza valutarne a dovere le catastrofiche conseguenze. Per la città eterna, passare dal “marziano” all’uomo qualunque sarebbe davvero il colpo di grazia.

(Immagine tratta dal booktrailer del libro Roma fa schifo di Enrico Pazzi)

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