Roma

#Romasonoio, la resa finale del cittadino divenuto suddito

26 Luglio 2015

Uno dei passatempi più gettonati in Italia è quello di scagliarsi un giorno sì e l’altro pure contro la privatizzazione di servizi quali il trasporto locale e nazionale, la fornitura di acqua, la raccolta dei rifiuti, etc… sostenendo che sottrarli all’erogazione pubblica condurrebbe ad ogni sorta di nefandezza. Personalmente, benché in generale ritenga che la maggior parte delle tirate benecomuniste si collochino tra l’infondato e il meramente ideologico e trovi ciò che il settore pubblico sta combinando nella città di Roma così inaccettabile da rendere ormai superfluo ogni commento, non ho grande passione per la querelle pubblico vs privato, almeno non qui da noi, dove entrambi tendono a non funzionare a dovere, perché il problema è più grande e si colloca a monte.

I treni tedeschi sono a gestione pubblica, ad esempio, e funzionano molto bene. Vasta parte dei servizi ferroviari giapponesi sono gestiti privatamente, e funzionano egualmente molto bene.

In Italia, se questi servizi li fornisce il settore pubblico, normalmente le cose tendono a degenerare fino a casi come quello della capitale, se li fornisce il privato, le cose vanno forse un filo meglio, ma si finisce quasi sempre nella cattura del regolatore e nell’estrazione di cospicue rendite, che magari sono meno visibili dei più grossi disservizi romani, ma parimenti dannose per l’economia del paese.

Da questa mattina, però, s’avanza una nuova e più temibile proposta – temibile proprio perché mossa da buone e nobili intenzioni, cui è sempre difficile replicare – annidata nelle pieghe della campagna #Romasonoio, lanciata da Alessandro Gassmann e diffusasi rapidamente, secondo la quale il modo per dare una scossa alla capitale sarebbe il seguente,

 

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Tutto molto bello. Lo spirito civico dei romani che non ci stanno, si rimboccano le maniche e si riappropriano della città perduta. Non proprio.

Come noto, in ragione della completa inadeguatezza delle varie amministrazioni che si sono succedute al governo della città e l’hanno portata al dissesto, gli abitanti della capitale (e i turisti, sotto forma di salatissima gabella di soggiorno), pagano al fisco tributi elevatissimi, ricevendone in cambio quasi soltanto disastri.

Quello che Gassmann propone, di fatto, è di spostare sul cittadino-contribuente l’onere di fare ciò che l’amministrazione non è in grado di garantire, ma per cui lo stesso cittadino paga profumatamente. In altre parole, l’approdo finale e compiuto dell’involuzione italica: decidere di fare da sé, dunque privatizzare a tutti gli effetti – seppur pro tempore, immaginiamo – il servizio pubblico di (raccolta dei rifiuti e) pulizia della città, al contempo però seguitando a finanziare come se nulla fosse il carrozzone comunale. Cornuti e mazziati, in pratica (semmai potrebbe avere un senso se accompagnato da qualche forma di sciopero fiscale, anche se è facile immaginare che, in questa eventualità, i più smetterebbero semplicemente di pagare senza imbracciare alcuna ramazza e alcuna paletta). Iniziativa, peraltro, molto diversa, per significato e contesto, dalla più condivisibile ripulitura della città dopo gli scontri, avvenuta nel capoluogo meneghino.

Non è così che si risolveranno i problemi di Roma, anzi.

Il mio compito di cittadino-contribuente è quello di pretendere che lo Stato, ai suoi vari livelli, garantisca i servizi che le mie tasse finanziano in modo generoso, non di sostituirmi a esso (esplorare altri modelli gestionali, si pensi a Central Park a New York, è certo possibile, anche se, come detto, la retorica benecomunista lo impedirà di sicuro, ma è cosa ben diversa dalla supplenza del privato a un pubblico inetto e sussidiato). Né l’idea che vedere i cittadini all’opera possa in qualche modo smuovere le coscienze dei dipendenti Ama o Atac o chi per essi ha alcun senso: sarebbe come pensare che ripetuti bail-out privi di condizionalità possano essere un buon strumento per instillare disciplina in un debitore. Questa non è una semplice campagna che invita a non buttare le carte per terra o a non lasciare la plastica nei prati, né una campagna che certifica una riscossa, ma una resa, la resa definitiva del cittadino divenuto suddito.

Forse alla fine Roma sarà un poco più pulita – o le aiuole di Livorno un poco più verdi(!) -, ma noi avremo fatto un altro passo verso l’inciviltà vera, che è quella di uno Stato che abdica costantemente alle sue funzioni più elementari, e in uno dei paesi più tassati del mondo. 

 

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