Enti locali

Roma, una città capitale ma non sovrana

13 Settembre 2016

Le turbolenze e i conflitti che caratterizzano la cronaca amministrativa romana di questi ultimi giorni (e anni) sono probabilmente il frutto di cambiamenti più profondi e fondamentali del modello politico e di governo che per circa vent’anni ha strutturato le classi dirigenti locali – e la stessa funzione del Sindaco – attorno al rapporto speciale, quasi simbiotico, che queste hanno intrattenuto con l’elite politiche nazionali e con le opportunità di trasferimento di risorse pubbliche sia ordinarie sia straordinarie che queste assicuravano (si legga, a tal proposito, “Il regime dell’Urbe” di Ernesto d’Albergo e Giulio Moini). Esauritosi (fortunatamente) questo modello, la funzione del Sindaco della Capitale non solo stenta a ridefinirsi ma sta addirittura divenendo una delle funzioni di rappresentanza e di governo più controverse e contestate dell’intero sistema istituzionale.

Coerenza ideologica o prerogative istituzionali? In particolare, le convulsioni amministrative delle ultime settimane hanno posto all’attenzione dell’opinione pubblica il dilemma di come conciliare la tutela di due beni diversi e potenzialmente confliggenti: da una parte, la coerenza fra gli assunti ultra-legalitari del M5S e i comportamenti concreti dell’amministrazione capitolina di cui questo e’ ora responsabile, dall’altra l’autonomia dell’istituzione comunale rappresentata dalla figura della Sindaca eletta. Anche se la messa in discussione di alcuni membri della giunta e del gabinetto e’ stata ricondotta a ragioni di moralità pubblica, legalità e liceità amministrativa, ricorrendo a un linguaggio e a dei temi che sono centrali nell’ideologia del M5S, il reale oggetto del contendere era probabilmente la definizione dellle prerogative di quest’ultima e la sua potestà di decidere, in autonomia ed entro i limiti della legge, quali debbano essere i criteri di selezione dei membri sia dei suoi uffici sia della sua giunta. A ben vedere, si tratta di una situazione di conflittualità non nuova, anche nel suo essere mascherata da altro.

Due sindaci molto diversi, ma egualmente contestati. Sia Ignazio Marino sia Virginia Raggi sono stati oggetto di tentativi di forte limitazione delle loro prerogative istituzionali: nel caso del primo, a una prima fase segnata dall’opposizione dei settori più conservatori e opachi del partito di maggioranza e’ seguita una seconda fase in cui sono stati gli organi nazionali di questo (il Segretario – Presidente del Consiglio) a imporre prima l’entrata in giunta di propri diretti rappresentanti e successivamente la decadenza del Sindaco attraverso le dimissioni di massa dei consiglieri Pd (decisione la cui gravità non sarà mai abbastanza sottolineata e le cui reali motivazioni non sono mai state comunicate all’opinione pubblica). Per quanto riguarda la seconda, l’uscita del nucleo di tecnici che doveva garantire la solidità amministrativa e anche la presentabilita’ della giunta – attraverso una singolare continuità con la gestione commissariale – ed il maldestro avvicendarsi di nomine di questi giorni sono forse anche l’esito di una situazione di conflittualità fra le aspettative e l’uso che dell’amministrazione romana vuole fare il partito nazionale – la grande prova di governabilità in vista della candidatura a Palazzo Chigi – e le prerogative di un Sindaco che di certo e’ apparso non particolarmente abile nell’esercitarle. Il fatto che questo conflitto abbia mobilitato, come abbiamo detto, il linguaggio della moralità pubblica, della legalità e della liceità amministrativa, non deve distrarci dal suo vero oggetto: anzi, il fatto che sia stato usato proprio quel linguaggio – il più grave e solenne per il M5S – indica proprio la rilevanza della posta in gioco.

Roma, una succursale di partiti nazionali scarsamente legittimati. In entrambi i casi, ad imporsi e’ stata l’immagine di un’amministrazione comunale la cui autonomia e’ costantemente minacciata dai partiti nazionali e, più in particolare, dell’uso che questi intendono fare di essa (si potrebbe ipotizzare che i partiti “governino Roma per governare altro”). Partiti nazionali che, è fondamentale sottolinearlo, hanno una scarsissima vita democratica e le cui decisioni hanno basi di legittimità molto limitate o, nel caso del M5S, addirittura inesistenti. A livello locale, la situazione è poi ancora più estrema, con un PD commissariato da molto tempo e un M5S affidato a un “direttorio” – ora dimissionario – che ancora una volta pare essere l’emissario dei poteri nazionali del partito. In altre condizioni – partiti solidi, pienamente legittimitati sul piano democratico – sarebbe probabilmente appena più accettabile che un Sindaco rispondesse del suo operato anche agli organismi nazionali del suo partito (sebbene l’intento della riforma del 1993 fosse esattamente l’opposto). Viceversa, nelle condizioni date, questo ruolo dei partiti appare particolarmente controverso anche perché, in entrambi i casi (con il caveat già illustrato nel caso del primo conflitto fra Ignazio Marino e il Pd), si fonda sulla sostanziale scomparsa o inesistenza delle rispettive rappresentanze locali (anche di recente, nei conflitti fra la Sindaca Raggi e il suo partito, il ruolo dei consiglieri o dei presidenti municipali non appare, ad esempio, neanche lontanamente paragonabile a quello, decisivo, di alcuni esponenti nazionali).

Le olimpiadi, un no poco locale. Anche la vicenda olimpica sembra illustrare l’attuale centralità di questioni di sovranità nella politica romana. Il rapporto simbiotico e a ben vedere parassitario che legava Roma alla classe dirigente nazionale si nutriva anche di grandi eventi e, da questo punto di vista, la candidatura olimpica sembrava rappresentare l’ultimo attardato tentativo di riportare in auge quel modello. L’andamento – di nuovo contestato e turbolento – di quella candidatura rappresenta efficacemente quanto il modello precedente si sia esaurito (e da tempo: il no di Mario Monti fu egualmente significativo) e quanto allo stesso tempo la situazione attuale abbia tutti i limiti e le fragilità rilevanti che abbiamo richiamato.
Sappiamo che i grandi eventi sono oggetti molto controversi per delle ragioni – largamente documentabili – che hanno a che fare con questioni fondamentali di appropriatezza degli investimenti pubblici e di qualità del modello di sviluppo urbano. Non casualmente le candidature olimpiche stanno conoscendo una forte crisi di legittimità e di consenso soprattuto nei paesi con società aperte ed opinioni pubbliche esigenti (Boston si e’ ritirata dalla competizione proprio per queste ragioni), crisi di consenso che ha spinto il CIO ad aggiornare i criteri di costruzione delle candidature in direzione della ricerca di una maggiore coerenza con le traiettorie e le strategie di sviluppo locale (coerenza che il comitato Roma 2024 ha sempre ostentatamente ignorato, cercando di ridurre strategicamente la candidatura olimpica a un fatto tecnico da riservare ai tecnici dello sport e della diplomazia sportiva). Come noto, dopo dichiarazioni di diverso sebbene incerto tenore da parte della Sindaca, i vertici nazionali del M5S hanno di recente annunciato che l’amministrazione comunale non sosterrà la candidatura. Si è trattato anche in questo caso di una decisione di partito a livello nazionale, e non dell’amministrazione comunale, la cui logica evidente e’ quella di riaffermare la natura anti-sistema della sua proposta politica e che come tale non si basa su alcuna articolata argomentazione delle ragioni locali di questo rifiuto (un progetto di città in conflitto con la logica dei grandi eventi? Possibile e addirittura desiderabile, ma bisognerebbe conoscerlo e possibilmente condividerlo, questo progetto). La decisione del M5S chiude peraltro una vicenda lunga circa due anni che ha visto l’Amministrazione Marino ingaggiare un forte conflitto con il comitato Roma 2024 e, di fatto, anche con il governo nazionale proprio attorno a contenuti e modalità di costruzione della proposta olimpica, conflitto che ha contribuito in modo forse decisivo all’estromissione della prima nel 2015 nelle modalità ricordate. Simmetricamente, la decisione del M5S sembra riproporre la sottrazione della vicenda olimpica al dibattito locale – ovviamente nella direzione opposta – considerata anche l’esistenza di un quesito referendario che avrebbe rappresentato un’opportunità per aprire un vero confronto nella città, sfidando l’autarchia ingannevolmente “tecnica”del Comitato Roma 2024.

Il ruolo attuale e potenziale dei partiti. Roma attraversa una crisi profonda e duratura anche per via dell’assenza di forme minimamente adeguate di rappresentanza politica della società locale, assenza di cui l’inquietante libertà’ e spregiudicatezza di movimento dei partiti (nazionali, per l’appunto) di governo e di opposizione e’ una prova ulteriore. Egualmente é questo stesso vuoto che permette il proliferare di reti di politici, amministratori e professionisti che ambiscono a parassitare la vita e l’azione pubblica della città, problema che – ovviamente – é lungi dall’essere risolto, come dimostrato dalle cronache recenti.

Roma e’ oggi una scena, entro la quale misurare ambizioni e disegni di potere altri, non una città nella quale radicare un progetto politico democratico. I partiti nazionali, anziché esprimersi compulsivamente su assessori, capi di gabinetto e capi-segreteria, dovrebbero pensare a ricostituire le basi democratiche della propria legittimità a Roma e magari dedicarsi – in parlamento, come nel governo – a sostenere concretamente la ricostruzione dell’amministrazione capitolina, del suo capitale umano e del senso della sua missione, che oggi appare del tutto compromesso. Fino ad ora, diversamente, si sono dedicati a rinnovare la condanna di una città capitale che, per un paradosso solo apparente, sembra essere destinata a non diventare mai sovrana.

 

 

 

 

 

 

 

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