Partiti e politici

ROMA: UN ALTRO MODO E’ POSSIBILE

7 Marzo 2016

Ecco, lo spettacolo che non serviva è servito: da una parte chi gioisce per la scarsa affluenza alle primarie di Roma, dall’altra chi la giustifica dicendo che sono rimasti a casa i mascalzoni. Il risultato è la solita immagine della solita sinistra solitamente divisa e al solito litigiosa. Serviva? No. Si poteva evitare? Si doveva evitare ma non si voleva. Il meccanismo autodistruttivo è sempre operante, non si spegne mai, tiene il motore al minimo e poi accelera nei momenti in cui servirebbe unità, in cui quel che rimane di quel popolo amerebbe vedere unità.

Come nella disamistade barbaricina è inutile andare a ricercare il torto originario: si è perso nella notte dei tempi, nessuno se lo ricorda più, ma sa che deve operare la disamistade, la vendetta, il conflitto permanente, mai definitivo e sempre rimandante al prossimo conflitto.

Almeno i due fondatori di questa città al primo conflitto seppero affrontarlo in modo aperto e risolutivo, più che a Romolo e Remo (come voleva Saba) qui invece si assiste a un divorarsi reciproco e continuo di membra che però rinascono, sempre più piccole, rattrappite e impotenti, ma rinascono per essere di nuovo azzannate e poi rinascere ancora in un supplizio infinito e degenerante.

Che poi ci saranno un po’ tutti i fenomeni denunciati: certo che quella parte di partito clientelare, capace di cammellare truppe, ha le casse più vuote, meno capacità di promettere scambio, i circoli personali chiusi dopo l’inchiesta di Barca; quindi una parte della minore affluenza si può spiegare così. Come una parte si può spiegare con la disaffezione dopo i tanti travagli della giunta Marino, disaffezione perché/per come la si è sostenuta e/o perché/per come la si è fatta cadere, ma comunque disaffezione di fronte all’ennesimo fallimento dovuto all’ennesima divisione. Ma è anche chiaro che quella parte di partito clientelare non si è certo estinta, cerca di sopravvivere e di rialzare presto la testa e infatti ha fatto sentire il suo peso nella spartizione degli incarichi nei comitati elettorali e ora ci proverà con liste e assessorati. E ancora la minore affluenza rispetto le ultime primarie si può spiegare con il clima politico totalmente differente: in quelle si veniva dal fallimento dell’avversario storico (la destra, la peggiore destra, quella romana di Alemanno), in queste dal proprio. E la differenza dovrebbe essere evidente. O meglio sarebbe evidente se ci si ponesse davanti ai fenomeni politici per analizzarli al fine di perfezionare strategie e tattiche, invece di usarli come clave gli uni contro gli altri in un cupio dissolvi senza fine.

Di diverso tono le prime affermazioni di Roberto Giachetti: nessun trionfalismo, consapevolezza delle difficoltà della situazione, apprezzamento per quanto fatto dalla giunta precedente per Malagrotta (ma chi scrive è convinto che non vadano nemmeno perduti, anzi: riprendere da subito, i cambiamenti rivoluzionari della scorsa amministrazione in materia di urbanistica, commercio e quelli appena cominciati per casa e sociale…), promessa di presentazione della giunta prima delle elezioni e soprattutto poche frasi ma chiare contro il meccanismo delle correnti, rafforzata dall’esortazione di una lista pulita e di qualità.

E’ sufficiente? No, ma è un segnale.

Un segnale che va raccolto per provare ad allargare orizzonti e idee, strati sociali ed energie. E il campo politico.

Perché nel frattempo a Roma è successo e sta succedendo qualcosa.

I cittadini, preoccupatissimi per lo stato della loro città, le associazioni, le esperienze culturali e sociali più vive, gli innovatori di ogni tipo, i portatori di saperi, competenze ed esperienze, gli animatori dei quartieri, gli attori dello sviluppo locale, i nuovi intellettuali che raccontano in una nuova maniera Roma, hanno dato vita a diverse esperienze di studio, approfondimento, progettazione, partecipazione sui grandi temi della città. Un’attivazione inedita per vastità e qualità, ma soprattutto per lo spirito che la anima, uno spirito di partecipazione, collaborazione e condivisione diffuso, che è merito e metodo allo stesso tempo.

Questi gruppi sono temporary o stabili, luoghi di pensiero e azione (molto più che think tank) in mobilitazione cognitiva come vorrebbe Barca, per la decolonizzazione di Roma come vorrebbe Tocci.

Ma soprattutto stanno lì a dimostrare che un altro modo è possibile.

Per un altro mondo ci si attrezzerà, ma intanto è possibile un’altra Roma.

Parlo di iniziative molto diverse tra loro, per impostazione, composizione dei partecipanti, finalità politiche, pratiche sociali, ma tutte foriere di novità, tutte convinte della necessità di attivare intelligenze ed energie sociali.

Ho già detto altrove (http://www.glistatigenerali.com/partiti-politici_roma/roma-il-diritto-alla-citta/) che Roma ha energie sociali più ricche, complesse e creative di quelle di altre città che sembrano più smart. Prima non avevano consapevolezza di loro stesse, ora la stanno acquisendo.

Da Contaci a Romapuoidirloforte, da Povera Roma a La Prossima Roma, da I Beni di Roma a Giubileo per i Romani, per citare quelli che conosco meglio, queste iniziative così diverse tra loro hanno un’anima comune, o almeno una parte.

Il rischio è che anche queste, o alcune di queste, si dividano per come si dividono i partiti, importando divisioni allogene, innaturali, non loro; svilendo lo spirito collaborativo e innovativo per contenuti e pratiche. Finendo così nella stessa spirale autodistruttiva dei partiti, o quantomeno precipitando dai cieli che tentano di assaltare ai controsoffitti della politica politicante.

La potenzialità è invece proprio nello spirito collaborativo e partecipativo, nel costituirsi di una  comunità senziente allargata e trasversale, consapevole di sé e della portata trasformatrice che il modo novo può portare sulla scena ufficiale.

Ma chi scrive è convinto che società civile e società politica funzionino quando vanno insieme, hanno bisogno l’una dell’altra come le Istituzioni democratiche hanno bisogno di partiti sani e democratici (questo lo dice la Costituzione, mica io…). Ed è ancora più convinto che la rigenerazione di Roma passa anche per la rigenerazione dei suoi gruppi dirigenti, dei suoi partiti, delle sue realtà associative, delle sue forze sociali, culturali, produttive.

Allora forse servirebbe ora fermarsi a guardare la situazione di Roma dall’alto, come dal Gianicolo, o almeno da un po’ più sopra delle divisioni della sinistra, e vedere che c’è davvero bisogno di tutti. Ma proprio di tutti tutti.

Oppure altri fallimenti e altre divisioni.

Oppure altri anni a rinfacciarsi le colpe reciproche di una sconfitta che hanno però una sola matrice: la mancata unità.

Le esperienze che elencavo sopra possono portare sangue nuovo, sguardi nuovi, novi modi.

I moderni metodi europei di Contaci, le emergenze sociali di Povera Roma, le sinergie potenzianti di La Prossima Roma, la creatività di Romapuoidirloforte, la centralità delle periferie di Giubileo per i Romani, l’innovazione trasversale de I Beni di Roma, possono costituire un pezzo forte della rigenerazione necessaria alla politica e alla città.

Essere dirigenti politici significa accorgersi di questo, capirlo e comporlo.

I Romani di domani ci giudicheranno per questo.

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