Roma

Roma ruba da sempre: commissariarla è solo un atto di civiltà

11 Giugno 2015

A Roma rubano tutti. È sempre stato così. Lo si è sempre saputo. E sinceramente, non si doveva aspettare – noi anime poco candide – l’arrivo del Tifone Capitale per averne pienissima contezza. Anche senza questa montagna di fango, una pasoliniana consapevolezza ci ha sempre rassicurato. Perché a Roma si rubi con questa disinvoltura – e quei vigliacchetti della Lega Nord non hanno neppure più il coraggio di gridarle “ladrona!” forse perchè un bel giorno s’adeguarono un pelo – è nell’atto istitutivo della nostra repubblica, che assegnò alla capitale i Palazzi. Ai Palazzi seguì il Potere. Al Potere seguì lo scempio, che solo oggi raggiunge in maniera quasi scandalosa occhi virginali ai quali finalmente quel po’ di collirio giudiziario spalanca e ripulisce l’iride.

Roma è sempre stato il luogo ideale per avvelenare il pozzo delle pari opportunità. Nei due giorni scarsi in cui i parlamentari sono sul suolo capitolino (arrivo tarda mattinata di martedì, partenza primo pomeriggio di giovedì), la città assume i tratti slabbrati del suk, con l’unica avvertenza di presentarsi al mercato in gessato blu d’ordinanza. In quelle ore, che rappresentano la forchetta temporale entro la quale il pasto delle belve “deve” consumarsi, si mischieranno persone perbene con la necessità di lavorare e persone permale che su quella stessa necessità esercitano la loro potenza di fuoco. Il paradosso straordinario di una città come questa è anche che le persone perbene sono spesso costrette a frequentare il girone infernale degli infami, perchè altrimenti non portano a casa il lavoro. Hanno magari aziende con diversi lavoratori, e dunque famiglie da difendere, ma vengono a Roma perchè la loro attività dipende magari da qualche amministrazione pubblica e allora il confronto con la macchina dello stato va “intermediato” da qualcuno in grado di farti ottenere ciò che in società più civili otterresti semplicemente con il merito, con la capacità attrattiva della tua azienda, con la tua professionalità, con il tuo curriculum. È molto in voga in questo periodo storico la parola “disintermediazione”, cioè la capacità renziana di bypassare i luoghi di estenuante trattativa – uno per tutti i sindacati – e rivolgersi direttamente ai cittadini, mostrando muscoli e disinvoltura. Ecco, sarebbe una vera e propria rivoluzione se il presidente del Consiglio mettesse a disposizione degli imprenditori «L’Ufficio Disintermediazione» dagli uffici pubblici, dalla stessa amministrazione dello stato.

Quando Roma trascina al compromesso anche imprenditori di una certa serietà, si appunta al petto la più luminosa delle medaglie, perchè dimostra all’universo mondo che nulla si potrà fare senza quel meccanismo distorsivo. Si istituzionalizza dunque una sorta di fatalismo distruttivo, che porta a concludere che nessun’altra strada potrà essere battuta, pena il fallimento dei propri obiettivi. Se abbiamo parlato qui di imprenditori seri, è perchè si è cercato di rappresentare il primo gradino di una deriva progressiva che potrà sfociare in ciò che quotidianamente abbiamo sotto gli occhi con Mafia Capitale: la non-presenza assoluta di imprenditori seri, e la presenza, invece, di soggetti che hanno come stella polare condivisa il magheggio, l’arraffo, la truffa, lo sfruttamento bieco della povertà come forma di business.

Roma non rifiuta mai nulla, accoglie con le sue grandi braccia persone meritevoli, naturalmente per peggiorarne il senso etico, e persone già serenamente votate all’infamia, e dunque già perfettamente formate come cittadini-modello. Sotto questo cielo di piombo, la Politica non ha mai fatto passi in avanti, nè ammissione alcuna. Se ci pensate con attenzione, poi, a Roma è riuscita un’operazione assolutamente sopraffina: iscrivere nella storia Tangentopoli come un fenomeno del Nord, ribaltando allegramente l’ordine e l’importanza dei fattori, in cui i politici, attraverso i partiti, chiedevano e ricattavano e gli imprenditori eseguivano. Questo gioco di prestigio ha permesso all’organismo Politica di non rigenerarsi, continuando a considerarsi decisivo nello sviluppo sociale della nostra economia. In questo senso, Mafia Capitale  ha sofisticato il livello di certi meccanismi, che non hanno più stretta necessità di passare per il corpaccione centrale che è il Parlamento, ma che possono allegramente rivolgersi alle parti laterali come Regione e Comune.

Di fronte a questo nuovo scandalo di Mafia Capitale, che fa molto, moltissimo, effetto anche fuori di Roma, c’è però un fatto nuovo: l’imbarazzo del governo centrale. Lo avrete notato, no? Avete forse ascoltato, alto e forte, il flagello oratorio di Matteo Renzi, in cui augurare ai protagonisti del malaffare, compresi i suoi dunque, cent’anni di sventure? Noi forse si dormiva, ma non ci pare. Perché questo imbarazzo, forse per la paura pur comprensibile di ritrovarsi con il comune di Roma commissariato alla vigilia del Giubileo straordinario di Papa Francesco e con possibili Olimpiadi sullo sfondo?

Se questa è la paura, è giusto affrontarla. Con il petto in fuori e l’egoistica visione di un ritorno di immagine straordinario, certo non sul brevissimo periodo ma su tempi medio-lunghi. Il commissariamento della Città Eterna segnerebbe uno storico Giorno Zero, catartico flagello in cui riconoscere alla città il titolo di fogna maxima, certificarlo al mondo, e da quel giorno nero ripartire. Per un cammino più dignitoso, in cui finalmente il merito si riprende il suo senso antico.

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