Governo
Roma incorona il primo sindaco donna: il bello per Virginia Raggi inizia adesso
Una ragazza di 37 anni nel luogo più importante del paese. Sembrava il sogno di una mente visionaria, invece è accaduto sul serio. Virginia Raggi è il nuovo sindaco di Roma e il Movimento 5 Stelle il primo partito della città. Il “complotto” si è avverato e la “Rivoluzione gentile”, ora, è già realtà. Quando nel febbraio scorso la Raggi si aggiudicò le comunarie del Movimento 5 Stelle, in pochi, anche nel suo partito, immaginavano che sarebbe finita così. “Se avessero messo Alessandro Di Battista sarebbe stata un’altra storia”. Eppure ce l’ha fatta proprio lei, ottenendo un risultato straordinario, impensabile fino a qualche anno fa, ma quasi obbligato dopo uno scandalo giudiziario come quello di Mafia Capitale, che ha rimesso in discussione tutti gli ultimi 25 anni di Roma: uomini, partiti, pratiche ed esperienze. Per ottenere la fiducia dei romani al Movimento 5 Stelle e a Virginia Raggi è bastato non avere alcuna esperienza, al contrario dei suoi “nemici”, i partiti tradizionali. Che ora tremano sul serio. Perchè un conto sono le minacce da campagna elettorale: “non dureranno più di un anno”. Un altro è vedere i propri avversari sedere nei posti occupati da una vita, con l’obiettivo di rimanerci il più a lungo possibile.
Perchè è esattamente in questa direzione che dovrebbe andare la squadra che la accompagnerà. I primi quattro nomi, Paolo Berdini, Luca Bergamo, Paola Muraro e Andrea Lo Cicero, per ora hanno fatto tacere i tutti i detrattori. Le polemiche negli ultimi due giorni di campagna elettorale si sono concentrate soprattutto sulla consulenza della Asl di Civitavecchia, senza scalfire minimamente i 4 assessori, che racchiudono in se competenza, credibilità ma soprattutto non estranei con quel mondo dei poteri cittadini, da sempre considerati distante anni luce dal Movimento 5 Stelle. Segno che ai grillini interessa provarci sul serio e non solo a parole. Certo, sarà difficile tenere fede agli impegni presi in campagna elettorale, ma l’esperienza molto ha insegnato ai 5 stelle, che al contrario, del passato, vedi Parma e l’inceneritore di Pizzarotti, a Roma si sono presi pochi, ma precisi impegni: lotta agli sprechi, stimati in oltre un miliardo da redistribuire, e trasparenza. D’altronde “un sindaco – ha spesso detto la Raggi – come un cuoco deve cucinare con quel che ha in frigo”. E se poi nel frigo sono previste anche operazioni importanti come lo stadio della Roma, “che deve rispettare la legge” o le possibili Olimpiadi, sarebbe impensabile rifiutarsi di governare ogni processo. Senza almeno provarci.
Al di là dei toni da campagna elettorale, il progressivo cambio di rotta su questi due elementi è il segno della volontà di Virginia Raggi di tentare un cambiamento, rompendo gli schemi del passato, ma senza chiudere ogni porta. Le Olimpiadi continuano a non essere prioritarie, ma questo non impedirà a Paolo Berdini, esperto urbanista e teorico della “moratoria del cemento”, di siedere al tavolo del comitato olimpico ed esprimere tutte le proprie perplessità, con l’obiettivo, perchè no, di modificare il progetto. Lo stesso potrebbe accadere per lo stadio della Roma, sul prolungamento della Metro C, o nei rapporti con i soci privati dentro Acea, tutte questioni con cui Virginia Raggi dovrà subito confrontarsi, spesso trovando il costruttore Caltagirone dall’altra parte del tavolo, e da cui si capirà, già nel primo anno di governo, quale sarà la forza concreta di questa compagine, maltrattata dai media tradizionali e cresciuta in maniera inarrestabile grazie alla rete.
Di certo, il debito accertato che supera i 13 miliardi è la prima vera incombenza per la Raggi, una volta che approderà in Campidoglio. Le sue indicazioni per tutta la durata della campagna elettorale sono state chiare, subito un audit sul debito, ma soprattutto la necessità di rinegoziare i tassi di mutuo. “Oggi la Banca d’Italia e la Banca Centrale Europea prestano il denaro a tasso zero – ha detto più volte la Raggi – invece noi siamo ancora con dei tassi molto elevati (superiori al 5%) che pesano milioni e miliardi di euro”. Riuscire ad intervenire su questo fronte, ottenendo risorse immediatamente spendibili per il sociale e i trasporti, sarebbe fondamentale per far respirare Roma dopo anni di austerity, e, non è un caso, che la ricetta fosse proposta anche dagli altri candidati sindaco di Roma.
La vicinanza con il governo era uno, forse l’unico, dei punti forti del programma del suo avversario Roberto Giachetti, anche per lo sblocco dei fondi destinati alle opere pubbliche. Per questo, in molti si domandano per quale motivo Matteo Renzi non dovrebbe non ostacolare un’operazione che a poco meno di due anni dalle elezioni rischierebbe di rafforzare i suoi principali avversari. I precedenti non sono certo incoraggianti, pensando, per esempio, a Ignazio Marino che per mesi inutilmente chiese al governo di allentare il patto di stabilità. Ma la differenza, rispetto al passsato, è sostanziale. Se con Marino, lo scontro era soprattutto interno al partito, ora con il Movimento 5 stelle sarà difficile evitare lo scontro pubblico. E’ per questo, che la partita sarà soprattutto nazionale e vedrà coinvolti i maggiori vertici del Movimento, come Luigi Di Maio, in una lotta parlamentare, che, se giocata fino all’ultimo, potrebbe rafforzerare il M5S anche in caso di sconfitta.
I rapporti con il governo, inoltre, saranno fondamentali anche per chiudere al meglio partita con gli oltre 24 mila dipendenti pubblici sul salario accessorio, dopo che il prefetto Tronca, nei giorni scorsi, ha fermato la trattativa con i sindacati confederali, iniziata ormai oltre due anni fa dall’ex sindaco Marino. Ci sono poi le società municipalizzate, come l’Atac o l’Ama, considerate l’emblema del fallimento della “vecchia politica” e divenute nel tempo fonte di sprechi e di disagi per i cittadini, che pagano le tasse più alte d’Italia senza avere in cambio servizi adeguati. Proprio sull’azienda di trasporto Atac, che conta un esercito di 11.600 addetti e oltre un miliardo di debito, la Raggi è stata chiara nel suo programma: “il comando pubblico dell’azienda non si tocca, razionalizzazione delle posizioni dirigenziali, la renternalizzazione dei servizi e riconversione del personale amministrativo”. Ma per portare a termine i suoi obiettivi, sarà fondamentale la scelta del nuovo management. E per molti la mossa di due giorni fa del direttore generale di Marco Rettighieri di disdettare gli accordi su mense, distributori automatici e attività socio-ricreative del Dopolavoro Atac-Cotral, facendo risparmiare all’Atac circa 4 milioni di euro annui, è un tentativo più che evidente di tendere la mano alla candidata 5 Stelle, che proprio nella municipalizzata trasporti, dovrà misurarsi con la forza dei sindacati confederali, estranei alle dinamiche dei M5S, che in questi anni ha coltivato un rapporto privilegiato quasi esclusivamente con l’Usb.
Per salvare Atac, mantenendo il controllo pubblico, sarà indispensabile anche il dialogo con Nicola Zingaretti, che almeno in un primo momento non chiuderà le porte con l’amministrazione a 5 Stelle, “ci abbiamo provato anche con Civitavecchia e Pomezia, poi loro hanno eretto un muro”, dicono i suoi. Il piano degli stanziamenti per il Trasporto Pubblico Locale prevede nel triennio 2015/2017 circa 640 milioni di euro, che dalla Regione vanno verso il Campidoglio, e il passato, anche da questo punto di vista, non è incoraggiante. Tanto per Alemanno con Renata Polverini, quanto per Marino con lo stesso Zingaretti, la corretta erogazione di questi fondi è sempre stata un terreno di scontro politico, figuriamoci a due anni dalle elezioni, con Zingaretti indebolito dall’inchiesta Mafia Capitale, e i 5 stelle che sperano nell’effetto traino della capitale per prendersi nel 2018 poi anche la Pisana. Considerato il cuore centrale del potere anche per risolvere il nodo dei rifiuti.
Fallito il monopolio di Manlio Cerroni, che per quasi 40 anni aveva dettato legge con la discarica di Malagrotta, il ciclo dei rifiuti cittadino continua a zoppicare, e la municipalizzata Ama, ancora paga le conseguenze della Parentopoli di Alemanno. La raccolta differenziata, stabilizzata intorno al 45%, per ora è solo virtuale, e più che una risorsa, rappresenta ad oggi una spesa maggiore per tutti i romani. Il Movimento 5 Stelle per anni ha predicato la “strategia rifiuti zero” sul modello San Francisco, cavalcando la mobilitazione dei comitati contrari alla realizzazione dell’eco distretto di Rocca Cencia, in prossimità dell’impianto Ama. La stessa Paola Muraro, assessore in pectore, ha già ribadito la sua contrarietà al progetto, garantendo “l’impegno per l’attuazione del programma M5S, fondato sulla riduzione del rifiuto e del recupero di materia e non sull’incenerimento”. Ma se non sarà a Rocca Cencia, da qualche altra parte, per portare a compimento una gestione integrata e virtuosa dei rifiuti, dovranno essere aperti i nuovi impianti e questo, inevitabilmente, non potrà che aprire il primo fronte di scontro con i cittadini.
Lo stesso potrebbe accadere sui rom, un tema che storicamente incide sul dibattito cittadino nonostante una popolazione effettiva che non supera le 8 mila persone. Come sull’accoglienza migranti, l’inchiesta Mafia Capitale ha scoperchiato il vaso di pandora del sistema che ruotava intorno alla gestione dei campi nomadi, un groviglio di interessi che costava al comune ogni anno oltre 20 milioni di euro, senza produrre risultati concreti sull’integrazione. Virginia Raggi non ha preso impegni precisi, ma come tutti gli altri candidati, ha indicato genericamente il superamento dei campi, attraverso politiche di legalità. “Queste persone hanno gli stessi doveri e gli stessi diritti di tutti. Non è accettabile mantenere persone che possono lavorare”.Cosa significhi, in termini concreti, è difficile stabilirlo. Anche perchè, in questo modo, i rom sarebbero nuovamente discriminati rispetto a chi ad esempio vive in una casa popolare o in un residence, e non ha certo l’obbligo di lavorare.
Ma d’altronde la campagna elettorale ha le sue regole. Poi governare è un’altra cosa. Per questo dall’urbanistica alle politiche sociali, il rischio di deludere le aspettative è altamente probabile in una città come Roma, ridotta sul lastrico dopo decenni di cattive amministrazioni. Virginia Raggi questo lo sa, ma a differenza di tutti suoi predecessori, potrà contare sul sostegno illiminato, almeno iniziale, dei suoi elettori e del suo partito, pronto a giocarsi attraverso lei e Roma, la sua credibilità nazionale. E se poi i risultati previsti non arriveranno, non sarà certo un problema per i romani. Sono sopravvissuti ad Alemanno e al Pd di Mafia Capitale. Sopravviveranno anche alle scie chimiche sopra il Campidoglio. Ma almeno per una volta, Caltagirone avrà avuto paura sul serio.
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