Roma
Roma, dall’Ora Illegale all’Ora del Dilettante
E, sia chiaro, il dilettante non è il sindaco Marino: lui si definisce un lottatore sociale che tiene fede al compito che il popolo gli ha dato. E, sia altrettanto chiaro, non si tratta il suo di un caso di psichiatria come la campagna stampa sul “marziano” accredita da mesi, come se la barba fosse un sintomo di squilibrio mentale. Aggiungo, non è nemmeno un vero e proprio caso giudiziario, nonostante che da quegli ambienti non si neghi materiale giornalistico atto ad alimentare la campagna stampa su Roma (che però non è Marino, semmai i predecessori….).
Marino ha agito con lucidità e determinazione politica, le dimissioni le aveva date annunciando che non erano definitive e che avrebbe cercato la verifica: così ha fatto, e il suo limite è che ha agito, da pessimo sindaco, senza un disegno che non fosse il salvare la sua immagine non a futura memoria ma a futuro ritorno. Ma, sia chiaro caro Fusco che qui scrivi, che ai tempi in cui io stavo in una federazione giovanile (non comunista, non democristiana e nemmeno socialista) agli attuali quadri del PD non avrei affidato il “coordinamento degli studenti medi” (per usare le gloriose etichette, oggi ai più sconosciute, degli incarichi della nomenklatura dell’arco costituzionale). Ciò che è mancato al PD, anzi, ai suoi quadri, è una visione almeno pari a quella di Marino, un comportamento con essa coerente e il ricordare che la politica deve essere coniugata con i numeri. La democrazia è consenso dei numeri e assistere tra ieri e oggi alla corsa per la raccolta delle firme è oltre il desolante: per dirla alla vecchia, certamente una risata vi seppellirà e giustamente. Tu non vai a chiedere le dimissioni di un sindaco facendo la spola tra i palazzi, tu chiami i consiglieri, discuti fino a notte, permetti ai presenti di fumare in riunione sopprimendo le giuste lamentele dei legalisti, non fai portare panini o pizze ed esci quando hai una carta con una mozione politica (ma politica vera!) e le firme a sostegno. Se non ci riesci, fai buon viso a cattivo gioco e, se proprio proprio lo stomaco non ti regge, le dimissioni le dai tu che tanto te le respingono. Non mi pare sia andata così, tutti certi che l’altro sarebbe stato sereno.
Il PD si è dovuto far spiegare da Barca che il partito romano non era infiltrato dalla malavita ma era malavita. Ha avuto una reazione debole rispetto alle iniziative della magistratura. Si è mascherato dietro le primarie che in Italia è evidente non funzionino e, considerato il livello di infiltrazione della malavita nella politica romana, è lecito pensare che i plebisciti (e quello delle primarie per Marino in qualche modo lo fu) siano certamente inquinati. Ma bisognerebbe anche smettere di usare il nome “PD” e mettere in bella evidenza il nome dei responsabili del PD che hanno gestito il partito romano in questi anni e in questa fase, almeno a tutela dei rimanenti iscritti in giro per l’Italia e dei residui “responsabili degli studenti medi” ancora operanti.
Se ciò per amor di patria non è richiesto dai tesserati, vista l’aria che tira dobbiamo chiederlo noi elettori perché, piaccia o non piaccia, il rimasuglio di quel che furono i partiti sono ancora lo strumento di selezione del gruppo dirigente del paese. Ed è giusto sia cosi perché la società civile ha dato di se ben debole prova dopo il terremoto del ’92, quando fu chiamata a sopperire con i suoi quadri (spesso ottusangoli) quelli dei partiti stremati dalla apocalisse giudiziaria. Che i partiti, soppressi i congressi in favore delle primarie, non funzionino più è evidente. Il PD è costretto a tenere in coabitazione la carica di premier con quella di leader del partito spacciandola per una innovazione di puro stampo anglosassone ma sappiamo che il motivo non è quello ma ha a che fare con politiche e establishment. Forza Italia non essendo contenbile e non avendo linea politica ma consenso elettorale è lo strumento per le carriere individuali delle mezze misure e in venti anni non ha costruito uno straccio di gruppo dirigente ma ha offerto braccia ad un popolo di navigatori tra improbabili sigle politiche; la Lega ha una opzione ideologica che selezione di per sé i suoi aderenti. M5S viene dal basso e tale rimane per lucida scelta dei suoi ispiratori che su Roma esercitano tutta la demagogia del caso, non avendo alcuna fretta di andare a votare.
Caro Fusco, oggi un extraparlamentare sarebbe un democristiano (e in molti casi quelli andati al potere lo sono diventati nei fatti ancor prima che nell’anima). Io invece non voglio morire democristiano e, sebbene gli italiani non ci credano, sono ancora convinto che i partiti siano un grande strumento della democrazia, in termini di selezione e in termini di maturazione della capacita di compromesso politico. Il problema è che né io né gli italiani ne abbiamo uno votabile e questo è il vulnus che da trent’anni non riusciamo a suturare.
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