Roma

Qui a Roma si dimettono a comando: ma che posto di matti è?

24 Giugno 2015

Lo scontro idrogeologico su Roma, con Renzi che fa mancare l’acqua al sindaco portandogli via pezzetti di giunta e Marino che evoca le fogne (e che solo adesso, con ritardo epocale, abbatte gli orrendi camion delle salamelle), è un’esibizione degna di un colosseo minore, tipo quella coglionata che si era immaginato Pallotta pensando a una bella partita di calcio da giocare in mezzo a fiere e gladiatori. Tra l’altro, una rappresentazione che non rispetta neppure la potenza di fuoco dei soggetti in campo: da una parte c’è il Presidente del Consiglio, dicasi il Presidente del Consiglio, dall’altra un sindaco certamente importante, di una città fondamentale come Roma, ma pur sempre un sindaco. Ne consegue che essere molto aperti e diretti, pur nel rispetto dei ruoli e delle proporzioni politiche, gioverebbe al livello del decoro, che invece è sceso sotto i tacchi.

L’aspetto decisamente ridicolo è che adesso si dimettono in tanti, adducendo un percorso che si è concluso, sottolineando come il sindaco fosse comunque avvertito di una collaborazione a tempo. Ma che professionismo è? Questo signor Improta lascia e non si capisce il motivo, almeno quello ufficiale da spendere per la foto ricordo. È l’assessore ai Trasporti e alla Mobilità e se c’è qualcosa perennemente sospesa in una città come Roma è la mobilità, sono i trasporti, le metropolitane, il traffico, la congestione perenne, il casino epocale, ma dove caspita va l’assessore? In questo caso la colpa non è mica solo sua, qui siamo in piena corresponsabilità con Marino che lo ha scelto (lo ha subito?). Quando si perdono pezzi, la colpa è anche del sindaco, non ci sono santi. Accadde a Milano con Pisapia e Boeri, che comunque era un assessore pesante e culturalmente attrezzato. Anche in quel caso parte di responsabilità fu di Pisapia. In rampa d’addio sarebbe anche l’assessore al Bilancio, Silvia Scozzese, che il sindaco costringerebbe ad azioni non “sue”. Potrebbe spiegare, l’assessore, in buon italiano e in forma ufficiale, senza passaparola giornalistici, di che cosa stiamo parlando? I cittadini hanno diritto di sapere in che condizione è il bilancio della città, da cui dipendono i loro destini anche economici.

Se ne va anche Franco Bernabè dal Palazzo delle Esposizioni, insieme al cda. Si lamenta sul Corriere della Sera perché i fondi promessi da Marino non sono mai arrivati, lo hanno lasciato solo, fa capire, dopo essere stato scelto per quel ruolo. Sottolinea di avere un curriculum che parla per lui, definisce “ridicole” le ricostruzoni che porterebbero a malignare sul ruolo di Renzi nelle sue dimissioni a orologeria. E sulla sua amicizia con Marco Carrai. Scusi Bernabè, tutto vero, tutto cristallino, tutto certificato, ma vogliamo parlare del nulla artistico del Palazzo delle Esposizioni sotto la sua gestione?

Roma è chiaramente un posto di matti, nulla è riconducibile, neppure vagamente, a una visione estremamente professionale dei problemi, niente si può programmare, nessuna squadra si può formare perché tanto non ti sarà fedele, prima o poi ti abbandonerà. Evviva l’ironia amara dell’assessore alla sicurezza Sabella, il quale di autoflagella: «Sarebbe paradossale che dopo aver fatto arrestare tanti mafiosi, mi ritrovassi “sciolto” per mafia proprio io». Se nulla è riconducibile ad alcuna logica, né meritocratica, né politica, se il Partito Democratico che deve dare l’esempio è quella mezza fogna che appare dalle indagini di Pignatone, ma anche dalla relazione discretamente impietosa di Fabrizio Barca (ma i mammasantissima del partito, quelli che da anni lo hanno governato in questa orrida maniera, perchè non vengono messi sotto diretta accusa da Matteo Renzi, ha paura forse di farne nomi e cognomi?), non resta che la strada della definitiva rassegnazione.

Roma non ha speranza. Se vogliamo dare la colpa di tutto a Marino, tecnicamente sindaco di non eccelso livello, lo possiamo anche fare. Ma ci negheremmo la verità. Qui, in questa città, il decoro è morto. E nessuna professionalità potrà mai essere vincente.

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