Roma
Processo Mafia Capitale, a che punto è la notte
Il momento era atteso con ansia, e infatti alla prima udienza per il processo di Mafia Capitale si sono presentati in molti: i giornali hanno messo in campo le loro firme migliori per la cronaca giudiziaria, ma tanta era anche la gente comune andata a vedere lo strano effetto che fa, tra di loro si aggirava il cantante Povia che intonava canzoni per il ritorno alla Lira, ma anche i consiglieri comunali grillini a testa altissima e il nuovo segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi. Leggere i resoconti della giornata passata dentro e fuori dall’aula Occorsio del tribunale di Roma vuol dire navigare a vista in un mare di esercizi di stile e gare a chi è riuscito a mettere su carta lo scenario più evocativo. Una di quelle volte in cui il piatto forte è il contorno, servito qui prima ancora dell’antipasto. E basta guardare i numeri per capire che la grancassa suonerà fortissima: 46 imputati elencati dal cancelliere, un numero imprecisabile di avvocati, una pletora di parti civili, un esercito di giornalisti e ben 33 televisioni accreditate. Non c’era il Partito Democratico, non c’era Ignazio Marino, che avrebbe voluto esserci sì, ma con la fascia tricolore a tracolla. Venuta a mancare la condizione, l’ex sindaco ha deciso di restare a casa.
Già, perché a ben guardare nella prima giornata del processo è successo pochino, molta procedura, fondamentalmente niente di inaspettato, giusto qualche battuta destinata a entrare nella mitologia che certamente si creerà intorno a quello che è già stato presentato come l’evento giudiziario del decennio. Una sola notizia: chiesto il processo per l’ex sindaco Gianni Alemanno, per corruzione, cioè per aver favorito Buzzi e Carminati in alcuni bandi per l’assegnazione di servizi dell’Ama. Udienza preliminare il prossimo 11 dicembre.
Il resto è un blob di dichiarazioni più o meno divertenti, più o meno destinate a ‘fare titolo’. Avvocato Alessandro Diddi, difensore di Salvatore Buzzi: «Sono sempre più convinto che della mafia a Roma non ce ne sia proprio traccia». Odevaine, che sta collaborando con gli inquirenti: «A Roma non c’è un sistema mafioso» e ancora: «Le cooperative hanno bisogno di compromessi». L’ex dipendente della coop di Buzzi: «Ho perso il lavoro, voglio essere risarcito». Avvocato Giosuè Naso: «Carminati parlerà al momento opportuno, ma non ha rivelazioni da fare», e la frase che più di tutte ha centrato il segno, anzi il cuore dei titolisti: «Questo è un processetto», tra lo sprezzante e il canzonatorio. Le parti civili si sono dichiarate una alla volta, impiegando una media di trenta secondi a testa per farlo, mentre gli esponenti del Movimento Cinque Stelle (presenti il consigliere Marcello De Vito e la pasionaria Roberta Lombardi) hanno arringato la folla e hanno trovato una sponda nel Codacons, che pure si ritiene parte lesa. Particolari di colore: Buzzi e Carminati collegati in videoconferenza, i loro volti che apparivano disturbati dentro vecchie televisioni a forma di scatolone. Il principe del foro Franco Coppi che non aveva idea di chi fosse il suo assitito (davvero). Avvocati che parlano, esternano, dichiarano, si godono la platea dei cronisti ben contenti di raccogliere qualche battuta in più. Tutto qui. La prossima udienza andrà in scena il 17 novembre, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia.
Dalla prossima volta, dunque, si dovrebbe cominciare a fare sul serio. Nelle sue carte, il procuratore Giuseppe Pignatone parla di una vera e propria organizzazione che ha tenuto sotto scacco la Capitale usando sia tecniche proprie della mafia sia la lotta di strada. Il nucleo del processo è esattamente qui: la mafia c’è o non c’è a Roma? La corruzione pare un fatto accertato (e accettato) da tutti, ma davvero si può parlare di mafia? Codice alla mano, il reato si configura quando ci si avvale «della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri». C’è una distanza tra la narrazione giornalistica – confluita poi in romanzi e film di successo – e i fatti da dimostrare durante un processo: resta da vedere quanto sia incolmabile.
In aiuto arriva dall’anticipazione del maxiprocesso, cioè del rito abbreviato che si è consumato due giorni prima. A giudizio c’erano una dipendente comunale e un ex collaboratore di Buzzi, Emilio Gammuto, oltre a due personaggi collegati a Carminati. Entrambi condannati, l’aggravante del metodo mafioso è stata riconosciuta soltanto per il secondo. Gli altri due sono stati pure condannati, per usura, senza mafia. La linea della procura ne è uscita non rafforzata ma sicuramente nemmeno distrutta: l’ipotesi del metodo mafioso è confermata, ma la sua applicazione è stata differenziata tra caso e caso. Il processo Mafia Capitale girerà intorno a questo perno, se nel ‘mondo di mezzo’, popolato dai Buzzi e dai Carminati che collegavano il mondo di sotto della malavita al mondo di sopra della politica e dell’imprenditoria, ci siano i padrini e i picciotti, magari senza lupara e con il colletto bianco. Se anche Roma appartiene all’onorata società oppure no. Se Roma è affondata ‘solo’ per una catena di casi di corruzione. Oppure se c’era anche altro.
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