Governo

Niente Campidoglio o segreteria, la regione a Zingaretti basta e avanza

15 Ottobre 2015

“Marino? Ormai è il passato”. Mentre su internet la petizione per chiedere al sindaco “marziano” di ripensarci ha superato le 50 mila adesioni, il Pd romano già guarda al futuro. Compatto almeno apparentemente dietro al presidente del consiglio Matteo Renzi, “capace di logorare l’amministrazione, fino a costringere in un vicolo cieco il sindaco”. Perché, ormai è sicuro, sarà lui a scegliere il nome del nuovo primo cittadino, che verrà poi ufficializzato dalle primarie in versione bulgara.  Per questo inutile ingaggiare uno scontro frontale. Meglio allinearsi e giocarsi la partita sul territorio.

Anche il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, dopo aver più che accarezzato questa estate l’idea  di riproporre nel 2018 la sua candidatura a sindaco di Roma, con la fine anticipata del chirurgo genovese, ha definitivamente spento ogni ambizione. Preferisce piuttosto pensare alla Regione e lavorare per assicurarsi un secondo mandato, lasciando alle spalle ogni sogno di gloria, anche nel partito. D’altronde pure l’ipotesi di scalare la segreteria nazionale è definitivamente saltata. “Non ci sono più le condizioni”, spiegano persone informate.

A giugno quando tutto era pronto per lanciare la “Leopolda zingarettiana“, sfruttando il malcontento contro Renzi dopo il flop delle regionali, il governatore venne frenato dalla seconda ondata di arresti nell’ambito dell’inchiesta Mafia capitale. E la festa nell’ agriturismo immerso nel parco della Marcigliana, dove Zingaretti avrebbe dovuto presentare la sua “corazzata”, si trasformò in un resoconto dell’attività di governo alla regione Lazio. “Nicola sa che il vento nel frattempo è cambiato”  e lunedì scorso a Villa Gordiani, nella plenaria con tutti gli amministratori attorno all’uomo forte del presidente, il consigliere regionale Massimiliano Valeriani, il messaggio è stato chiaro per tutti. “Zingaretti vuole ripartire dal territorio – spiega uno dei presenti –  dai tanti giovani amministratori bravi, che si sono imposti in questi due anni”. Nonostante Marino, considerato da queste parti come “l’unico artefice della sua fine, incapace di andare a fondo nelle sue idee”.

Perché la partita, ormai è chiaro, per ora a Roma l’ha vinta lui, Renzi. E da Bettini a Gasbarra, fino a Marroni, nessuno dei big romani ha messo in discussione la strategia del presidente del consiglio. Che per molti, ha atteso fin troppo tempo prima di staccare la spina.  “Con Marino siamo stati messi ai margini. Ma alla luce dei fatti siamo gli unici estranei a quel ‘Modello Roma’ che ha contribuito a Mafia Capitale e ha messo uno come Marino alla guida della città”, racconta un esponente di una delle tante fazioni di renziani capitolini, che per il futuro chiede già maggiori spazi. Perché sarà pure vero, come ha detto Matteo Orfini, che “dopo Marino non torneranno i poteri forti e la mafia”. Ma si sicuro non scompariranno le mitiche correnti, condanna di qualsiasi segretario romano, che nemmeno il prezioso lavoro dell’ex ministro Fabrizio Barca è riuscito a scalfire. Anzi.

 

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