Partiti e politici
Neanche il confronto riesce a ravvivare le primarie di Roma
A 2 giorni dalle primarie del 6 marzo è arrivato l’atteso confronto fra i sei candidati sindaco a Roma della coalizione del Pd. E forse, vedendo il risultato, si capisce perchè si sia aspettato tutto questo tempo. Il set, allestito alla sede Pd del Nazareno, è off-limits per i giornalisti, che vengono relegati in una stanza. Le domande, rivolte ai candidati dal direttore dell’Unità Erasmo D’Angelis e da Daniela Preziosi del Manifesto, sono a risposta aperta, riducendo al minimo la possibilità di incappare in errori. Eppure tutte queste precauzioni, più che mettere in sicurezza i contendenti, evitando scivoloni a poche ore dal voto, svuotano completamente la natura stessa dello scontro, a talpunto che è impossibile stabilire un vincitore.
Giachetti, il favorito, è forse il meno convinto dei 6. Mentre Morassut, che in più di una occasione avrebbe avuto la possibilità di affondare il colpo, preferisce proseguire sulla linea del fair play, come ha fatto per tutta la durata della campagna elettorale. Ad aprire il dibattito è l’intervento polemico del padre di Chiara Ferraro, che rivendica la partecipazione della figlia, una ragazza autistica, alla competizione: “Tutta la città è diventata un setting riabilitativo. E questa è la nostra più grande vittoria”. La discussione elude abilmente i grandi temi della città, da Mafia Capitale al futuro delle municipalizzate, così come sorvola sulla situazione del Pd romano, travolto dalle inchieste giudiziarie, commissariato ormai da oltre un anno e sempre più preda delle correnti interne. “Spero che le persone vadano al voto spontaneamente e non spintaneamente” è la battuta di Stefano Pedica, che teme le truppe cammellate.
L’ombra di Denis Verdini, che avrebbe dato mandato ai “suoi” di partecipare al voto di domenica, sostenendo il candidato indicato dal premier Matteo Renzi, ossia Roberto Giachetti, aleggia per l’intera durata del confronto. Gianfranco Mascia ha già pronto l’hashtag “meglio Verdi che Verdini”, seguito dal generale Rossi, che propone una variante cromatica sul suo cognome: “meglio Rossi che Verdini”. Roberto Morassut, che con Giachetti condivide l’esperienza parlamentare insieme ad una parte del centrodestra, esprime tutta la sua contrarietà a uno “schema politico a forma di Arlecchino, insieme a un gruppo che non fa parte del centrosinistra”. Al contrario, Giachetti prova ad evitare in maniera goffa l’argomento. “Ma voi pensate che i romani al bar parlino di Verdini?”.
A dire la prima cosa di sinistra, paradossalmente è un generale dell’esercito, il sottosegretario Domenico Rossi, ex Scelta Civica, attualmente in quota Centro Democratico, che spera torni a rivivere grazie alle primarie di domenica lo spirito degli anni della contestazione. “Avevo 18 anni nel ’68, mangiavamo pane e politica e il cittadino voleva essere al centro della politica”, dice Rossi, senza chiarire da quale parte della barricata si trovasse a quei tempi. L’esigenza di allargare la coalizione al popolo di Ignazio Marino e a quello di Sinistra Italiana Sel è tuttavia una priorità per tutti i candidati. Morassut, l’unico a riconoscere dei meriti alla giunta Marino, è convinto che la riapertura del teatro Valle, da lui inserita fra i primi punti del programma, possa essere un buon biglietto da visita per cominciare a trattare. Giachetti, invece è pessimista, ma non demorde. “Dal primo minuto ho tenuto un dialogo aperto con Sel chiedendo che partecipassero alle primarie, ricevendo solo insulti e derisioni. Ma in campagna elettorale mi rivolgerò a tutto il popolo del centrosinistra”.
Domenico Rossi, qualora venisse eletto, vorrebbe “continuare l’opera del commissario Francesco Paolo Tronca”. Gianfranco Mascia, che si definisce “protogrillino”, farebbe invece l’esatto contrario. In caso di elezione, tuttavia, assicura che l’orso, che da giorni lo accompagna, sarà a suo fianco anche in Campidoglio: “ma la sedia la pago io”. Pedica, nel denunciare “l’ipocrisia” dei suoi avversari, fa sapere, invece, che, in caso di vittoria, “nessun consigliere uscente sarà ricandidato”. L’appello finale in cui Morassut confessa di essere un “candidato senza sorriso” non è certo uno dei momenti più esaltanti della storia politica dell’ex assessore all’urbanistica. Mentre Giachetti ha capito che forse l’autocritica è la strada migliore per essere credibili. La sua promessa di restituire ai romani “mezzora al giorno” è forse un’utopia. Di sicuro sarebbe il giusto risarcimento per molti. Almeno per chi ha assistito al dibattito di oggi.
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