Roma
Mondezza, cinghiali, filobus rotti e “pollai”. La Roma reale e gli spot del M5S
Verità e post verità. La Roma amministrata da Virginia Raggi e dal Movimento 5 Stelle è una chiara rappresentazione di quanto una narrazione resa virale con l’utilizzo dei social network possa essere lontana dalla realtà, stravolgendola ad uso e consumo di una costante propaganda. Sembra quasi che il vero ruolo dell’ex avvocato dello Studio Sammarco non sia quello di amministrare la Capitale d’Italia, ma quello di raccontare una città virtuale. Accade così che il rifacimento dell’asfalto di alcune strade – ovvero quello che dovrebbe essere l’ordinaria amministrazione – diventi la roboante operazione “strade nuove”, pubblicizzata come una sorta di miracolo ad opera dei paladini dell’onestà dopo che “per decenni nessuno si è preoccupato di affrontare il problema”, come ha scritto la stessa Raggi sul suo profilo Facebook. Ma è davvero così? Ovviamente no, si tratta solo di ordinaria amministrazione, su cui la giunta pentastellata ha persino messo a bilancio meno fondi di quella precedente, sia sui tratti di strada gestiti dai municipi (Marino 13,2 milioni, Raggi 10 milioni) che – soprattutto – sul fondo totale del dipartimento (SIMU). Insomma, se il povero Marino avesse pubblicato un video su Facebook per ogni tratto di strada rimesso a posto durante la sua amministrazione, avrebbe fatto un figurone.
Analogo discorso si può fare per i famigerati filobus, “restituiti ai cittadini” dopo essere stati lasciati per anni “a prendere polvere” nel deposito Atac di Tor Pagnotta, come ha scritto Virginia Raggi utilizzando gli ormai consueti toni trionfali. Nei primi due giorni in cui sono entrati in funzione se ne sono rotti già sette, in fondo i tecnici di Atac – in una lettera inviata al sindaco – erano stati chiari: “le vetture non sono sicure e persino in fase di collaudo avevano presentato problemi di affidabilità”, avevano scritto. Parole al vento: la priorità sono le foto e i video da “far girare”, il resto è sicuramente colpa di “Mafia Capitale” e di quelli che c’erano prima.
Passiamo al capitolo rifiuti, uno dei cavalli di battaglia dell’opposizione grillina in Campidoglio negli anni della giunta Marino, che – va ricordato – ha chiuso la più grande discarica d’Europa e ha dovuto gestire l’inevitabile emergenza predisponendo degli strumenti a medio e lungo termine per ripristinare il ciclo dei rifiuti. Interventi che – dopo un iniziale periodo di assestamento che generò una vera e propria emergenza – erano entrati a regime con una conseguente normalizzazione.
Nell’ultimo periodo, è sotto gli occhi di tutti i romani un grave peggioramento della situazione e in molti si chiedono perché in molte zone di Roma – dal centro alla periferia – si trovino cataste di rifiuti lasciati a terra vicino ai cassonetti. È un problema di inciviltà dei cittadini o c’è dell’altro? In realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, sia i cartoni che la plastica che i sacchi dell’indifferenziata vengono riposti all’esterno dei cassonetti quando non entrano più fisicamente all’interno di essi. Questo avviene perché il ciclo della raccolta prevede più di un passaggio dei mezzi, sia per svuotare i cassonetti che per raccogliere ciò che rimane fuori. Accade però che uno dei due passaggi possa “saltare” (se non entrambi, nei casi più gravi). Il perché ce lo spiega l’ex presidente della Commissione Ambiente del Comune di Roma, Athos De Luca: “Fino a quando era attiva la discarica di Malagrotta, il lavoro di AMA era solo quello di raccogliere i rifiuti, non di trattarli, per cui tutto era più facile. E il motivo per cui nessuno aveva chiuso la discarica è che in assenza di nuovi impianti alternativi si sarebbe creata una situazione emergenziale della raccolta di rifiuti che sarebbe durata almeno due o tre anni. Attualmente, gli impianti in funzione sono quattro, due di AMA e due di Cerroni. Basta che uno di questi impianti – che tra l’altro sono abbastanza vecchi – abbia un problema di sovraccarico o un malfunzionamento, che i camion rimangono lì e non tornano indietro per i giri successivi. A quel punto la spazzatura si accumula e accade ciò a cui periodicamente assistiamo”.
Il tema principale è quindi la mancanza di impianti, un problema a cui l’AMA – dopo la chiusura di Malagrotta – ha sopperito mandando i rifiuti fuori regione, sia in Italia che all’Estero. A giugno scadrà uno dei contratti più importanti: quello che permette all’azienda di mandare in Austria 200 tonnellate al giorno di rifiuti indifferenziati, per la felicità dei viennesi che con la nostra spazzatura alimentano il secondo impianto di produzione di energia elettrica della città: “Durante la passata giunta – spiega ancora De Luca – Fortini presentò un piano industriale che prevedeva la creazione degli ‘ecodistretti’. Uno di essi – quello di Rocca Cencia, dedicato al compostaggio dell’umido – sarebbe stato operativo tra un anno, ma l’attuale giunta sta cercando di bloccare tutto perché in campagna elettorale aveva promesso a dei comitati di cittadini che non lo avrebbe realizzato. Avevano anche presentato una delibera, ma poi l’hanno ritirata probabilmente per paura che gli fosse contestato il danno erariale”.
La questione è dunque abbastanza chiara. Con la giunta Marino viene approvato il piano industriale di AMA (che prevede anche un piano economico). In virtù di quel piano – che contempla la costruzione di nuovi impianti – viene rinnovato di quindici anni l’appalto in house all’azienda e questo rassicura anche le nove banche creditrici che ne gestiscono il debito. Sempre in virtù di esso, viene concesso all’azienda di inviare i rifiuti fuori regione, in attesa della costruzione delle nuove strutture. Con l’arrivo della giunta Raggi quel piano viene messo in discussione, ma non ne viene presentato uno alternativo e ciò crea una sorta di “sabotaggio” del sistema fine a se stesso. Ci sono ovviamente i soliti annunci da campagna elettorale permanente: 70% di differenziata entro 5 anni e sinergia tra AMA e ACEA per impianti più grandi e efficienti, ma di atti a riguardo non c’è traccia. Nel frattempo, la macchina si sta inceppando sempre più e a giugno la situazione potrebbe precipitare definitivamente, anche perché l’impianto di compostaggio dell’umido di Maccarese non accetterà più la trasferenza degli scarti alimentari da AMA, concessa in via temporanea proprio in virtù dell’imminente costruzione del nuovo impianto a Rocca Cencia.
Concludendo, se i grillini vogliono davvero mettere in pratica il tanto urlato slogan “rifiuti zero”, devono predisporre gli strumenti per attuarlo. Per ora l’impressione è che la strada scelta sia “rifiuti sotto il tappeto”, ovvero quella di coinvolgere più soggetti privati nella gestione di una perenne emergenza e di spedire tutto fuori regione, trasformando di fatto l’eccezione nella regola, il tutto a spese dei romani che continueranno a pagare una TARI tra le più alte d’Italia per ritrovarsi invasi dalla spazzatura. In sintesi per dirla con le parole dell’ex assessore all’Ambiente della Capitale, Estella Marino, “un piano industriale va scritto, portato in aula, votato e poi attuato. Non è un post su Facebook”. Ecco, appunto.
E come spesso accade quando si narrano le avventure degli adepti del comicoleader genovese, non possono mancare le note di colore, come la proposta di sterilizzazione dei sempre più numerosi cinghiali che ormai arrivano fino alle zone abitate nei quartieri nord della città. Gli animali selvatici – spesso avvistati in prossimità dei cassonetti dei rifiuti – hanno già provocato due incidenti stradali. In uno di essi è morto un uomo che si è scontrato con l’animale mentre guidava il suo scooter. “Stiamo affrontando le problematiche relative alla presenza dei cinghiali a Roma – hanno scritto il presidente della commissione Ambiente Daniele Diaco e l’assessore all’Ambiente Pinuccia Montanari in una nota – valutando l’opportunità di utilizzare un immunovaccino sugli animali”. Non sarebbe forse il caso di risolvere il problema alla fonte, i cumuli di spazzatura che li attirano? Evidentemente per i grillini la priorità è limitare la virilità del suino selvatico. Chissà che non stiano pensando di sterilizzare anche gabbiani, topi e blatte.
Altre tipologie di interventi che i pezzi di comunicazione del Movimento 5 Stelle si guardano bene dal mostrare, sono quelli che ormai molti romani chiamano scherzosamente “pollai”, ovvero i recinti costruiti con transenne e reti di polietilene arancione, quelle normalmente usate per delimitare i cantieri, senza che ci sia un cantiere. Si tratta di zone di pericolo come voragini, porzioni particolarmente dissestate del manto stradale, edifici e monumenti pericolanti, vegetazione fuori controllo che mette a rischio l’incolumità di automobilisti e pedoni ecc. Queste situazioni vengono individuate dai vigili urbani e delimitate dagli uffici tecnici dei municipi di competenza o del dipartimento centrale, e restano lì in attesa degli interventi di ripristino. Interventi che – visto l’immobilismo di Campidoglio e assemblee municipali – non arrivano, lasciando così queste opere di arte contemporanea ad “abbellire” la Capitale, dal centro alla periferia. Per ammirarle si può andare su twitter e digitare l’hashtag #ROMAnellaRETE.
Verità e post verità. La Roma malgovernata dal Movimento Cinque Stelle e quella raccontata sulle pagine virtuali somiglia alla Valdrada delle Città Invisibili di Italo Calvino, una città costruita sulle rive di un lago che si specchia in esso e si sdoppia. Ma come nella visione del grande scrittore “le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico: a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o gesto inverso punto per punto. Le due Valdrade vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano”.
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