Governo

Metti un venerdì mattina al Colosseo nell’Italia dei diritti a perdere

20 Settembre 2015

Missione compiuta. I luoghi della cultura diventeranno servizi essenziali per quanto riguarda l’esercizio dei diritti sindacali come lo sono già  gli ospedali, gli aereoporti e gli asili nido. La sproporzione di questo provvedimento legislativo è resa ancora più evidente dall’incongruità di questa equiparazione.

Tutto  ciò accade per una assemblea sindacale convocata regolarmente e con largo preavviso, che procura disagio ai turisti e li obbliga a file o a ripensare  la loro tabella di marcia.

Con pochi tweet ben assestati l’ordine viene riportato. E d’ora in poi le assemblee sindacali  che verranno indette senza il pedissequo rispetto di norme stringenti saranno comparate a “riunioni non autorizzate e sediziose”.

Ma dietro questo rigurgito sguaiato di autoritarismo che trova nel cinguettio del Premier, traballante per sintassi impetuosa, una sintesi perfetta, c’è altro.

Ci sono i tentacolacci di una strategia che vuole ridurre il sindacato all’impotenza screditandone l’immagine o, come in questo caso, togliendogli ossigeno minandone le agibilità.

Tutti sanno che una volta esaurita la faida parlamentare sulla riforma del Senato, il timing governativo prevede la discussione di temi quali la rappresentanza nei luoghi di lavoro, la contrattazione e, udite udite, la regolamentazione del diritto di sciopero. Trattandosi di una palese invasione di campo che non ha precedenti, meglio sarà, arrivati lì, sostenerla come pietoso atto necessario che colma l’incapacità di una struttura, il sindacato appunto, antistorica, abulica, un po’ corrotta e, come successo venerdì, pure pericolosa.

Al solito la “narrazione del fare presto e bene”  di Renzi è  stata allergica all’approfondimento o al civile riconoscimento delle ragioni altrui: in definitiva alla ragionevolezza.

Se ne sono andate pertanto rapidamente  in cavalleria: le motivazioni  sacrosante dei lavoratori, la correttezza delle procedure di indizione della riunione (che diventano “repentine” secondo il post di Ivan Scalfarotto che, per inciso, di scioperi inefficaci dannosi e mediatici se ne intende…), la giusta dimensione  di un incidente che crea disservizio ad una utenza in una città che fa del disservizio costante il souvenir più gettonato offerto gratuitamente ai turisti.

Sarebbe interessante  chiedere proprio a quei turisti se un episodio come quello di venerdì scorso (che ha ritardato e non inficiato la loro possibilità di visitare il Colosseo), ha condizionato irrimediabilmente  il loro giudizio sulla vacanza o se altri sono stati i problemi  incontrati che hanno riconsegnato loro una immagine ben diversa della Città Eterna da quella che si erano costruiti sfogliando la Lonely Planet.

La sporcizia, le metro A e B con annessi borseggiatori, i taxisti abusivi di Termini, i prezzi gonfiati dagli esercenti in base agli accenti, la tratta Fiumicino – Roma con i trolley fra le braccia, magari, forse, per dire, danneggiano più la nostra offerta turistica di una fila fatta per accedere a un monumento, causata da una riunione sindacale  che aveva come oggetto di discussione argomenti seri e comprensibili a livello globale come mancati pagamenti di straordinari e sottorganico.

Cosa succederà ora? Per indire una assemblea o effettuare uno sciopero bisognerà muoversi fra preavvisi minimi e massimi, presidi minimi garantiti, lettere di precettazione, sanzioni disciplinari  e altre amenità del genere.

A presidiare la regolarità di tutto questo arzigogolato iter  sarà la Commissione di Garanzia per l’attuazione del diritto di  Sciopero che sotto la zelante presidenza di Roberto Alesse ha concluso la sua muta in Commissione di Garanzia per la negazione del diritto di sciopero;  assai  tenera con le imprese, come testimoniano i numerosi  casi di interventi, pareri e provvedimenti a senso unico, questo organo ha negli anni smarrito la sua funzione politica di garanzia, divenendo una farraginosa istituzione burocratica, apertamente ostile ai lavoratori e a chi li rappresenta.

 

Da domani, per capirci ancora meglio, un provvedimento di precettazione assurdo come quello emanato dallo stesso Alesse  in occasione del proclamato (e mai effettuato)  sciopero agli Uffizi di Firenze, la Pasqua scorsa, diverrà efficace; fino ad oggi avrebbe  costituito  la gioia di tutti gli avvocati  chiamati a contestarlo, essendo palesemente carta straccia.

L’avversione di questo governo per il lavoro che si organizza e interloquisce, è talmente radicata e profonda da assumere i tratti di una nemesi storica in seno alla sinistra. Ma si tratta di uno scontro antiestetico poco eroico che ammorba con le sue tossine il nostro vivere democratico.

Renzi mira al suo affossamento perché il sindacato media la comunicazione fra lui e quel pezzo del suo pubblico rappresentato dai lavoratori.

La mediazione è intercettazione, filtro, snatura il racconto, indebolisce potenzialmente la credenza e la fede che ciò che si ascolta  sia automaticamente verità.

La ragione non è mai stata come ora nelle mani del più forte.

E forti non appaiono certo le organizzazioni sindacali come dimostrano le troppe inerzie di queste ore di fronte a un fendente di violenza inaudita, tirata ad uno dei capisaldi del nostro diritto del lavoro.

Non è tempo di distinguo, di pensiero critico di seconda mano, di pensose frasi del tipo ” magari si poteva scegliere un orario diverso” guarda caso di gran moda anche  fra alcuni sindacalisti vecchia scuola  che  forse sperano così di ritrovare consenso e benevola assoluzione da una politica che li ha definitivamente scaricati senza lasciar loro nemmeno il tempo di elaborare il lutto.

No, non si poteva scegliere un orario diverso, perché a forza di addomesticarli certi diritti fondamentali si sfibrano fino a dissolversi.

CGIL, CISL e UIL sono, a mio modestissimo parere,  chiamate ad abbandonare per il tempo necessario il tema  seppur intrigante delle pensioni e dedicarsi a quello più urgente della difesa dei diritti di democrazia nei luoghi di lavoro.

Hanno il dovere di smetterla con le autoassoluzioni consolatorie rispetto ad un potere politico che le schifa  e che ha dimostrato di saper   portarsi dietro in questa iniqua repulsione  una parte consistente dell’opinione pubblica; debbono scendere fra la gente ascoltarla, aiutarla a trovare la forza di rialzare la testa, a vedere le cose per quelle che sono.

Debbono avere l’umiltà di spiegarsi, sillabando, non dando per scontato di essere comprensibili, perché fino ad oggi lo sono state poco o niente.

Bisogna reagire e subito non limitandosi alle dichiarazioni ma passando alle azioni possibilmente incisive, usando il terreno di scontro che qualcuno altro ha scelto, scendendo (mai similitudine fu più azzeccata in questo frangente) nell’ arena.

Il decreto  andrebbe impugnato in tutte le sedi e a tutti i livelli. Sarebbe anche utile scioperare in barba alle regole nuove. Chi vive nel rispetto delle regole (e sfido chiunque ad accusare il sindacato confederale di derive sovversive)  non può tollerare infatti  che le regole diventino una variabile dipendente al servizio del potente di turno. All’arroganza si può e si deve rispondere con un po’ di sana e radicale maleducazione, arrivando anche a commettere qualche violazione, qualche reato. Ovviamente nell’ accezione  che a questa  parola ha dato il Sottosegretario alla cultura Francesca Barracciu, cioè in senso lato.

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