Partiti e politici

Metti un pomeriggio a Casa Pannella: il lodo Venditti sulle elezioni a Roma

20 Marzo 2016

Dopo una godibilissima conversazione di tre quarti d’ora con un amico, un complice, un editore – ma soprattutto un collega di cui essere onorati del suo ascolto non foss’altro che Radio Radicale sta spalmata a tutto volume in filo diffusione in ogni angolo di Via Della Panetteria – sembrava essere arrivato il momento di lasciare il campo libero ad altre visite. Invece no. Matteo Angioli che insieme a Laura Hart cura con perizia le cose di Casa Pannella di questi giorni, entra in stanza e annuncia: «Marco, sta salendo Antonello Venditti, che fai? Vieni in soggiorno?». «Bene», risponde Marco. Ed è a questo punto, come buona creanza voglia e preveda, che questa tastiera si alzi dalla sedia quantomeno per lasciare in intimità e riservatezza i due come è giusto che sia: Marco e l’impareggiabile voce che a «Roncobilaccio ci venne incontro un vecchio». Nemmeno l’accenno a staccarmi dalla sedia che la manona gigante del nostro gigante transnazionale afferra la mia sbraitando affettuosamente con un «Ahoooo! N’do cazzo vai mo’? Statt’ loooco!». La familiarità, l’affetto che circonda Marco tra una visita di personale politico storico noto e un bel tot di suoi compagni storici di sempre, lo ha ricalato alle sue origini abruzzesi in un momento di affettuosa regressione. «Statt loco», stai qui, non andare. Con Marco, si sa, finisce sempre così. È risaputo che se solo-solo provi a non assecondarlo, poi se la lega solo dove lui sa. In fondo il mero piglio del leader non basta. Ha sempre avuto fame e sete di complicità d’ogni tipo nella sua vita come un ragazzino che cerca sempre il compagno di pallone per giocare sotto il portico di casa, giusto per sfuggire in modo birbante al controllo dei genitori.

Al quinto piano è il turno di Venditti. I due si trovano uno di fronte all’altro. Venditti osserva con gli occhi di fuori il per niente sobrio campionario di tabacco che accompagna e circonda Pannella di “cloud” d’altri tempi. Proprio il giorno prima Marco Di Salvo, in compagnia di alcuni compagni radicali, a Marco ha portato un pacchetto raro di Celtique Caporal ancora vergine con tanto di plastico involucro. Una linea di tabacco andata fuori produzione decine di anni fa e che Marco dimenticò in chissà quale tavolo della campagna elettorale di Catania del 1988 dove creò il primo sindaco non democristiano dopo 41 anni. Quel pacchetto di Celtique andò in fumo subito in mezza giornata ma sul tavolo restano comunque posati i rituali sigari alla grappa e un pacchetto di Marlboro. Ed è su quest’ultimo che Venditti si sofferma. «Ah ecco, o’ vedi Marco, pure te fumi ‘e stesse sigarette mie, io vado a tre pacchetti ar giorno» (il visitatore tira fuori le sue dalla tasca dei pantaloni ostentandole quanto basta per sentirsi vicino al visitato). Venditti, fisico da un ragazzo che uno alla sua età ci metterebbe la firma, inizia allora i suoi discorsi declinandoli prevalentemente col dialetto d’origine. A pensare al menù verbale di quel pomeriggio, è pacifico come chiunque si trovi davanti al Marco Transnazionale – ovvero, davanti alla storia d’Italia e non solo – difficilmente riesca a sottrarsi a memorie e riferimenti storici rendendo inevitabilmente omaggio alla curvatura spazio-tempo di Einstein. Un Venditti da Le Notti Della Repubblica, passando per le fatwe calabresi lanciategli per un inciampo verbale durante un suo concerto a Marsala (i calabresi si sa, a volte risentono di qualche permalosità), per poi finire con le elezioni amministrative che attendono Roma Capitale: e con un finale politico a Casa Pannella per certi versi sorprendente e niente male per qualsiasi cronista.

«Vedi Marco, oggi è l’anniversario del rapimento di Aldo Moro. C’è poco da fa’, so cose queste che te rimangono impresse pe’ tutta la vita. Del resto, pe’ raggioni de quartiere e de strada, ce conoscevamo tutti un po’ come Falcone se conosceva co’ Buscetta: Moretti, Faranda co’ quelle zinne favolose che ce passavano davanti a tutti noi… Prova a immaginà, c’era na città impazzita. Quel giorno stavo a scènne sull’Aurelia che a tutto gas me schizza davanti una Alfetta…». Mentre Marco ascolta l’esordio vintage sui “compagni assassini”, poi Venditti vira di mezzo con robe relativamente più recenti: gli anatemi calabresi («Non l’avessi mai fatto quer giorno sul palco de Marsala»), l’amore incondizionato per Catania e la scogliera della Baia Verde dove ama soggiornare («Tanino che mi porta a ricci»): e via andare fino al finale su Roma.

Si discuteva sui problemi dello Stato (e di Roma). Una volta sistemati al soggiorno di Casa Pannella giusto per un rinfresco affiancato da paste di mandorla e cannoli di ricotta, questa tastiera si trova a capo tavola con Marco («statt loco»: e due) da un lato e il cantautore dall’altro. Non per fare torto alle memorabili canzoni di Antonello ma in testa, in quegli istanti, non faceva altro che ronzarmi il must di Stefano Rosso: “… e casa mia pareva quasi il parlamento, erano in quindici ma mi parevan cento”. Vedo Antonello per un attimo agitato, insofferente. Da seduto, a un certo punto martella nervosamente la gamba con la stessa impazienza dei gatti quando a volte sbattono nervosamente la coda sul pavimento. Agita le mani vibrando come un vulcano che sta per esplodere in modo effimero per come conoscono l’effimero i vulcanologi. “Sentite regà – ma davero – c’è nà cosa che ve devo assolutamente dì. N’un ce sto quasi a dormì la notte… Ahò! Ma davero a Roma dovemo annà a votà in queste condizioni allucinanti? Ma ci rendiamo conto in che dimensione di totale illegalità e degrado totale ce stiamo a trovà?” Ed ecco che il dialetto tira fuori tutta la saggezza popolare.

Venditti sbotta con passione, Marco annuisce scuotendo continuamente il capo sorridendo: «Aaaah, l’ho detto un sacco di vorteeeeee, Antonèeee». Venditti però non vuol però fermarsi alla mera denuncia, guarda Pannella in faccia mimando con le mani il gesto di un artigiano che sta girando un arnese tra mani come un cacciavite e – nonostante sia un fan del mitico Alfio “Arfio” Marchini – incalza: «Senti Marco, ma possibile che n’un c’è stà un modo pe’ annullà st’elezioni allucinanti? Ma n’un ce sta n’articoletto da quarche parte, na cosa pe evità sto scempio? Ma davero dovemo anna’ ai seggi con una città in queste condizioni?».

Il ditone gigante di Marco un certo punto viene diretto alla direzione di questa tastiera, nel frattempo sollecitato anche dalla presenza di Enrico Salvatori di Radio Radicale e Massimilino Coccia de l’Unità. «Eh, senti Lui che si è occupato del mancato scioglimento per mafia di Roma», fa Marco. Non l’avesse mai fatto (lo diciamo con affetto) che Venditti insiste «Ecco, appunto Scandù, dicce! Damme na’ buona notizia che ce sta ‘n modo, che se po’ fa quarcosa, va: io n’un vojo sta città ar voto in queste condizioni». In effetti, il Marco Transnazionale, già l’anno scorso in una intervista a Lanfranco Palazzolo di Radio Radicale dichiarò «una cosa mi sento di dire: per molto-molto-molto meno hanno sciolto per mafia piccoli comuni…». Venditti continua sull’argomento senza sosta reiterando malumori e legittime preoccupazioni («Ma non possiamo fa’ pure ‘na paginetta Facebook su sta cosa?»).

Il bello sta proprio per arrivare. Ovvero: quando a un certo punto Rita Bernardini varca la porta di Casa Pannella con un passo deciso e una postura fiera come quella di un direttore di casa circondariale, di quelli che però tutti i detenuti dell’infermo carcerario italiano in realtà vorrebbero oggi avere. Rita raggiunge Venditti poggiandogli confidenzialmente la mano sulla spalla e lo saluta con un «Benvenuto in ritardo nel club, Antonello: sò dieci d’anni che andiamo dicendo questo sull’illegalità delle elezioni in Italia». Poi la condivisione e l’apprezzamento per il problema sollevato da Venditti, che Rita Bernardini palesa tuttavia un sorprendente finale: «Epperò, sai Antonelllo che su sta cosa stai ponendo ce se dovrebbe lavorà?». Touché, benché poi è pur vero che uno pensa ai comitati pro-Giachetti creati proprio in casa radicale.

Si arriva al momento dei saluti a Casa Pannella con l’affetto di «non sarà un addio ma un arrivederci». Dopo Venditti, al quinto piano di Via Della Panetteria è il turno di Massimo D’Alema che sta per salire. All’improvviso smette di ronzarmi ‘Una Storia Disonesta‘ di Stefano Rosso e la playlist della mia testa fa partire ‘Roma Capoccia’ di Venditti. Oggi me sembra che er tempo se sia fermato qui. Diciamo.

 

twitter: @scandura

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