Roma
Massimo Giannini e l’occasione persa
Ha fatto scalpore, per la seconda volta.
Massimo Giannini, rompendo il riserbo che di solito copre la vita privata di un uomo pubblico, ha raccontato dalle pagine del giornale che dirige, La Stampa di Torino, la sua condizione di paziente Covid, ricoverato al Gemelli di Roma. La sua narrazione, è cominciata con la descrizione del suo ricovero e dei sintomi che ha avuto, due settimane fa. Mentre oggi, con il suo secondo scritto “dal fronte di guerra”, ha riportato la sua attuale condizione di paziente in terapia intensiva. Un racconto emotivo, con la descrizione dei pazienti passati da 16 a 54. Il Direttore è sceso nei dettagli: molti dei 54 degenti, sono ultrassessantenni, alcuni sono intubati, altri proni sul loro lettino, altri ancora sono gravissimi. Faticano a respirare. Giannini ammonisce sugli sbagli fatti nei mesi scorsi, sulla mancanza di unità, sulle divisioni, e sulla rapida rimozione fatta dei sacrifici degli scorsi mesi.
Anche a me è capitato di trovarmi in terapia intensiva. E al sottoscritto, approdato con una diagnosi di coronaropatia acuta, è stata nello stesso tempo diagnosticata una emorragia interna allo stomaco. Due diverse patologie, in cui l’uso e l’effetto dei necessari farmaci, erano contrapposti. Intervenire per fermare l’emorragia significava adottare farmaci che inficiavano sulle terapie cardiologiche. In sostanza: se in una coronaria hai un blocco che impedisce di far affluire il sangue al cuore devi prendere dei farmaci che prevedano una semplificazione nel rendere fluido quel passaggio, rimuovendo la coaugulazione intravascolare. Prendendo però quei farmaci, la mia emorragia poteva aumentare la perdita di piastrine, accompagnandomi alla morte.
Caro Massimo Giannini, so bene come ci si sente quando i medici ti dicono “è una situazione nuova, in cui non ci siamo mai trovati, dovremo vedere se i farmaci che prende provocheranno una reazione e di che tipo.”
Proprio per questo sono rimasto due settimane nella terapia intensiva dell’ospedale di Reggio Emilia, dove sono stato curato benissimo, con grande attenzione e massima professionalità. Ne sono uscito bene. I farmaci hanno funzionato, sono stato sottoposto a 4 trasfusioni e a 3 operazioni invasive per chiudere la ferita all’interno dello stomaco. Era stata provocata dall’uso dei Fas, cioè di quei farmaci che normalmente usiamo contro i mal di testa, “che possono provocare emorragie”.
Ebbene, Massimo, non ti scrivo per portarti solo il mio racconto. Ti scrivo perché da giornalista, da un giornalista che fa il Direttore di uno dei più importanti quotidiani italiani, mi aspetterei delle notizie, visto che anche tu, come me allora, hai trovato il tempo di scrivere sebbene costretto dagli aghi sul braccio. E mi piacerebbe sapere se, dopo due settimane, adesso stai meglio. Mi piacerebbe sapere con quali farmaci sei stato curato: il Remdesevir? Il Desametasone? Oppure il Plaquenil, ovvero l’Idrossiclorochina? Vorrei sapere se magari ti hanno applicato la terapia di De Donno. Vorrei capire se il paziente Giannini aveva pregresse patologie, se sei sovrappeso, se fumi, se mangi carne e latticini, se vivi in centro a Roma dove c’è un alto tasso di smog. E all’occorrenza vorrei sapere chi sono quei pazienti che stanno accanto a te, intubati. Perché proprio dalle cronache di questi mesi, abbiamo appreso che l’intubazione per le coaugulazioni intravascolari disseminate, può generare gravi effetti collaterali. Per cui se i medici le applicano ci sarà una ragione terapeutica, ma vorrei sapere quale.
Soprattutto spero però che tu possa presto tornare a casa, sano, accanto ai tuoi cari. Non prima però di averci fatto sapere quali farmaci stanno avendo effetto su di te. Perché c’è un’evidenza empirica: non sei morto. Riesci a scrivere e anche ad ammonire sulla necessità di accettare che il sistema produttivo si fermi se questo si rende necessario per scongiurare un impatto epidemiologico ancora più grande. Penso tu abbia una grande occasione di spiegarci, da semplice giornalista e non da virologo, quale effetto stiano producendo i farmaci che immagino tu stia assumendo.
Il nostro lavoro di giornalisti è quello di fornire informazioni, e poi quello di descrivere le emozioni, che pervadono in un evento le persone coinvolte. Hai ragione: quel dolore ci farà bene. Il dolore ci riconduce alla coscienza, al bosogno di avere consapevolezza di ciò che siamo. Ricordiamocelo quando incominceranno di nuovo i ricoveri in terapie intensive già sature. Ricordiamoci della dignità dei malati. Del loro diritto di non essere fotografati, ripresi con le telecamere; ricordiamoci della responsabilità che abbiamo quando scriviamo. Dobbiamo informare e non spaventare. Se c’è un problema, deve esserci anche la ricerca di una soluzione. Altrimenti vorrà dire che avremo usato quel dolore per speculare. Senza fare informazione.
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