Partiti e politici

Mafia Capitale: la politica a Roma chiude occhi e orecchie da decenni

8 Dicembre 2014

Estremisti di destra e cooperative rosse, politici compiacenti e funzionari che pilotano bandi pubblici. Per mettere insieme il romanzo di Roma Capitale, quello del “Mondo di Mezzo”, non c’era neanche bisogno di aspettare il procuratore Pignatone, sarebbe bastato dare ascolto a quella parte della città sana che denunciava da anni la rapina dei colletti bianchi e della malavita perpetrata a danno della collettività. Un sacco completamente alla luce del sole e spesso nell’apparente legalità della logica emergenziale, che ora, soprattutto a sinistra, sta generando una vera e propria crisi di coscienza. Quella di una classe dirigente che ha sempre minimizzato la presenza di una vera e propria struttura mafiosa per poi scoprire di essere essa ingranaggio (spesso inconsapevole) del sistema. Da giorni le bacheche Facebook di gran parte dei protagonisti della politica romana riassumono meglio di ogni  quello sta accadendo. Chi è stato coinvolto, pur non essendo nemmeno indagato, prova a difendersi dalla gogna mediatica in atto. In quelle dei “salvati” invece regna il profondo silenzio, come se il mondo si fosse fermato il 3 dicembre.

Rimettere in discussione tutte le scelte prese anche negli ultimi mesi su rifiuti, rifugiati e rom e urbanistica sarà quindi ora un dovere preciso del sindaco Ignazio Marino, qualora riesca a rimanere saldo al suo posto. Perché se è vero che il sodalizio criminale fra Salvatore Buzzi e Massimo Carminati prese il via solo nel 2012 durante gli anni di Alemanno, è altresì vero che alcuni dei funzionari amministrativi coinvolti hanno continuato  a mantenere le loro posizioni strategiche continuando a influenzare le politiche dell’amministrazione comunale e il destino della città.

Per questo la mitica cena a cui ha partecipato anche il ministro Poletti, che nella narrazione del delitto assume le sembianze della prova del reato, non è che in realtà la parte superficiale di questo  potere costituito. Ossia un asse politico fra una parte del Pd e del Pdl, penetrato in maniera profonda da pezzi deviati del mondo della cooperazione e da pezzi importanti di Malavita organizzata, che facendo leva sull’avidità dei politici, si è sostituito a loro, finendo per governare e gestire in maniera diretta  interi settori della città. Certo, è importante sapere quanto i diretti interessati, ossia i politici, fossero a conoscenza della nascita del sodalizio criminale stretto – secondo i magistrati – fra Massimo Carminati e Salvatore Buzzi e più in generale di quella rete di interessi che metteva insieme politica, solidarietà, tifo da stadio e mattone. Perché da garantisti se qualcosa si deve conservare di tutto il quadro che emerge dalla poderosa narrazione del Mondo di mezzo, probabilmente il miglior prodotto di narrativa noir degli ultimi anni, è la scarsa attenzione del potere politico, così come quella del prefetto Pecoraro, che pur avendo in mano gli strumenti per controllare, quasi mai hanno alzato la barriera di fronte alle denunce che nel tempo provenivano dai cittadini, dalle associazioni e dai quei pochi giornalisti che raccontavano la città senza filtri.

Alla riunione della Legacoop Lazio di giovedì sera, dove è stata decretata l’espulsione dei cooperanti arrestati, il clima era tesissimo. Perché la parabola criminale di Buzzi, che rischia ora di vanificare gli sforzi portati avanti in questi anni dal mondo della cooperazione sociale, è in realtà avvenuta tutta alla luce del sole senza alcuna vigilanza. Nessuno all’interno del mondo delle cooperative ha mai sospettato del sodalizio criminale con Carminati e, seppur a microfoni spenti, ancora oggi non manca chi è pronto a difenderlo. “Senza rapporti con la politica è quasi impossibile poter lavorare. Con l’arrivo di Alemanno ci siamo ritrovati in un punto di non ritorno – spiegano – Buzzi è sceso a compromessi inizialmente per salvaguardare i suoi lavoratori, ne sono sicuro. Poi ha perso il controllo della situazione, stordito dal senso di onnipotenza nato dal sodalizio con Carminati. Resta il fatto che quella di Buzzi fosse una cooperativa prediletta, a talpunto che a determinate gare, anche prima della scoperta di questo sodalizio,  non conveniva nemmeno partecipare”.

La ricostruzione degli inquirenti parte dai dati: dai 66 appalti ottenuti dalla galassia Buzzi durante la giunta  Veltroni, si arrivò ai 97 con Alemanno a cui devono aggiungersi le commesse milionari dell’Ama dal 2011 in poi. In molti ricordano ancora la campagna elettorale per il sindaco Marino. All’appuntamento a Portonaccio, un quartiere a ridosso della stazione Tiburtina, indetto dal mondo della cooperazione per conoscere le intenzioni del candidato Ignazio Marino “c’era più fila per salutare Salvatore che per il nuovo sindaco”. E proprio per le amministrative del 2013 Buzzi si dimostrò generoso con tanti: non solo Gianni Alemanno, finanziato attraverso la sua Fondazione  o l’attuale sindaco Ignazio Marino, ma anche il vicesindaco Luigi Nieri, la consigliera comunale Erica Battaglia, l’ex capogruppo Pd Francesco D’Ausilio e i presidenti di Municipio Sabrina Alfonsi ed Emiliano Sciascia (tutte donazioni certificate). Che la storia di Salvatore Buzzi fosse strettamente legata a quello del Partito Democratico non è certo un mistero che si scopre ora: lo stesso Angiolo Marroni, attuale Garante dei detenuti e padre di Umberto Marroni, deputato Pd, accanto all’esperienza politica nella Provincia di Roma e nella Regione Lazio, annovera nel suo curriculum il suo impegno di solidarietà verso i carcerati, come quello nella “promozione della rappresentazione dell’ “Antigone”, di Sofocle da parte dei detenuti ed il convegno sul lavoro e carcere”  da cui poi nacque la Cooperativa 29 giugno, un esperimento riuscito di inclusione sociale che nel giro di 20 anni ha realizzato un impero da circa 60 milioni di euro.

L’assessore comunale Daniele Ozzimo e la deputata Pd Micaela Campana, il primo indagato per il reato di corruzione, e la seconda finita nell’occhio del ciclone solo  per aver inviato un sms in cui definiva Buzzi “Grande capo”, sono stati parte integrante del gruppo politico vicino a Umberto Marroni, l’ex capogruppo Pd negli anni di Alemanno, che ha caratterizzato le sorti del partito a Roma.  Un partito di cui lo stesso Matteo Orfini, scelto da Matteo Renzi per “ripulire” di Roma era uno degli esponenti più in vista, pur ricoprendo cariche istituzionali solo dal 2013. Non quindi un elemento estraneo, ma un uomo perfettamente integrato nel sistema di quei rapporti di forza e di quelle correnti. Lo stesso partito che, come a Tor Bella Monaca,  chiudeva gli occhi di fronte alle irregolarità nelle primarie o al boom dei tesseramenti, ma soprattutto isolava, invece di sostenerli, quegli esponenti politici che avevano avuto il coraggio di denunciare alla magistratura l’uso spropositato del protocollo accelerato di somma urgenza, durante la giunta Alemanno.

Ad avere rapporti stretti, però, non c’era solo Marroni, la cui amicizia con la 29 giugno, come gran parte dei politici romani,  è sempre stata alla luce del sole. La ragnatela dei rapporti Buzzi/Carminati, oltre al consigliere regionale Pdl  Luca Gramazio, indagato per associazione di tipo mafioso, includeva infatti all’interno del Pd romano anche l’area relativa dei cosiddetti popolari, indispensabile per avere un peso nel comune di Roma con l’elezione di Ignazio Marino, percepito dal sodalizio come “estraneo”.  Dal potentissimo consigliere comunale Mirko Coratti, indagato per corruzione aggravata e finanziamento illecito, che dal 2006 ricopre la carica di di presidente dell’Aula (con Alemanno era vicepresidente) al consigliere regionale Pd Eugenio Patanè, indagato per turbativa d’asta e illecito finanziamento, la cui funzione (si deduce dalle carte) sarebbe stata soprattutto quella di avere buoni rapporti in Ama, essendo cresciuto politicamente alla scuola Mario di Carlo, l’ex assessore regionale, ora deceduto, da sempre ritenuto vicinissimo al re dei rifiuti Manlio Cerroni. Insieme a loro, nel grande libro di Mafia Capitale c’è anche il presidente del Municipio di Ostia,  Andrea Tassone, solo citato in una conversazione fra Buzzi e la sua compagna e non indagato, il quale per sgomberare il campo da ogni illazione nei giorni scorsi ha “sospeso tutte le procedure negoziali in corso, alla luce dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Roma e revocato gli appalti alla Cooperativa sociale 29 giugno”. Ad essere nominato in una conversazione fra Buzzi e Giovanni Fiscon, nominato direttore generale di Ama e agli arresti per turbativa d’asta e corruzione aggravata, c’è anche l’attuale consigliere regionale Pd Gianfranco Zambelli, non indagato, che già venne sfiorato (senza alcuna conseguenza legale) dalla Parentopoli di Ama:  secondo le cronache dell’inchiesta del 2012 il suo nome comparve accanto a una  delle assunzioni sospette avallate da Franco Panzironi, l’ex ad di Ama fedelissimo di Alemanno e arrestato anche lui nell’ambito dell’inchiesta Mondo di Mezzo con l’accusa di associazione di tipo mafioso, corruzione aggravata e turbativa d’asta.

Zambelli, conosciuto anche come l’ex autista di Vittorio Sbardella, lo “squalo” della Dc nella Roma anni 80 dominata da Enrico Nicoletti,  e Coratti sedevano al consiglio comunale già dai tempi di Valter Veltroni. Solo che stavano nella parte opposta, quella del centrodestra berlusconiano. Insieme a loro c’era anche Michele Baldi, ex capogruppo di Forza Italia fino al 2008 e attuale consigliere regionale e capogruppo della lista civica a sostegno del Governatore Nicola Zingaretti. Michele Baldi, che non è indagato, alle elezioni amministrative del 2013 sostenne la candidatura di Alfio Marichini e non quella di Ignazio Marino,  e viene nominato dal consigliere comunale Giovanni Quarzo, indagato per associazione mafiosa, mentre chiede a Fabrizio Testa di contattarlo per fare pressioni sul consigliere Cosimo Dinoi (considerato da Testa un uomo di Baldi) affinché Quarzo possa ottenere l’incarico di presidente della commissione trasparenza.

Da sempre considerato un personaggio fuori dagli schemi, Michele Baldi è legatissimo allo speaker radiofonico Mario Corsi, una delle voci più popolari dell’etere radiofonico romanista, che non ha mai nascosto il suo passato di estremista di estrema destra fra le fila dei Nar e che nell’ordinanza viene intercettato a colloquio con Carminati.  A legare Baldi e “Marione” è soprattutto la società della Roma, di cui Baldi era uno dei membri del consiglio di amministrazione durante la gestione di Franco Sensi e di Rossella Sensi, la quale, una volta ceduta la società alla cordata americana di James Pallotta,  venne nominata Assessore del comune di Roma da Gianni Alemanno. La Sensi non compare mai direttamente, ma un intero capitolo nelle intercettazioni è dedicato ai lavori che Agostino Gaglianone, arrestato per associazione di tipo mafioso, effettua su ordine del sodalizio in un terreno del marito. Un episodio di nessuna rilevanza giuridica, ma abbastanza importante da costituire il piccolo capitolo di un romanzo, che si annuncia già come una saga destinata a svelare la vera storia della città degli ultimi venti anni. Fra politica, economia, calcio e mattone.

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