Roma

Macabro processo

16 Settembre 2018

Roma, Basilica del Laterano, gennaio 897 d.c.

Una folla enorme si accalcava dentro la Chiesa il cui altare era coperto di drappi rossi color del sangue; di fronte ad esso un’alta poltrona alla quale era legato da una robusta corda, il corpo di un uomo rivestito dei paramenti pontificali con una tiara sul cranio e una maschera rozza che gli copriva il viso: l’imputato.

Accanto a lui, in una seggiola bassa, un chierico di mezza età, intabarrato in un tunica scura, dal volto contrito che, insistentemente, tamponava il naso con un grosso panno, anch’esso di colore rosso: il portavoce.

A destra e a sinistra, due lunghi tavoli di rozzo legno coperti da uno spesso tessuto color ruggine dietro i quali stavano seduti numerosi prelati: i giudici.

E proprio lui, il protagonista, papa Stefano VI, appesantito da un lungo e vistoso piviale, anche questo rosso, rivestito con i paramenti di cerimonia e con il capo coperto da un morbido camauro: l’implacabile accusatore.

E poi ancora, il popolo, il popolo romano che conquistato dalle monete di Lamberto, duca di Spoleto, aspettava ansioso il verdetto di condanna.

Quel corpo, senza vita, era di un uomo morto da mesi che emanava un olezzo insopportabile, un fetore che neppure la grande profusione d’incenso e di altre resine odorose bruciate in grandi bracieri, riusciva a disperdere nell’aria.

Questo lo scenario, a tinte gotiche, in cui si svolgeva uno dei più sconvolgenti processi della storia, il “Synodus horrenda”.

Il processo ad un cadavere, quello di papa Formoso, accusato soprattutto di avere infranto le norme canoniche che impedivano il trasferimento da una sede episcopale all’altra (divieto di traslazione) col passaggio dalla sede di Porto, di cui era titolare prima di essere eletto papa, a quella di Roma. Una vendetta orrenda contro un nemico.

Formoso era stato un papa di grande valore, un incorruttibile uomo di fede – come venne accertato nel processo di riabilitazione svoltosi per volontà di papa Giovanni IX, successore di Stefano, che smentì le accuse – che si era barcamenato fra i poteri laici del tempo impegnati ad imporre la propria volontà alla Chiesa.

Un papa che era morto, forse avvelenato nel carcere in cui l’avevano richiuso i suoi nemici sei mesi prima. Nessuno avrebbe potuto immaginare che l’odio contro quest’uomo potesse arrivare al punto da chiederne perfino il disseppellimento per allestire quel processo farsa. Un macabro spettacolo.

Una vicenda che avrebbe fatto orrore perfino ad uno scrittore esperto di horror come Stephen King. Quel processo era stato voluto dal duca di Spoleto, suo acerrimo nemico, che per allestirlo si era servito di un papa indegno.

Ma torniamo al processo.

La sprezzante requisitoria di Stefano non durò a lungo e l’interrogatorio fu anch’esso breve; conclusa ogni formalità fu emessa, da giudici faziosi o intimiditi, in forma solenne e fra il giubilo dei presenti, una sentenza inappellabile di condanna.

Ma non finì lì.

A quel punto, infatti, il macabro rituale proseguì con la violenta pubblica denudazione del cadavere – i paramenti sacri che lo rivestivano vennero scagliati con disprezzo, sul pavimento della Chiesa – mentre un boia afferrava la mano putrescente del cadavere e, con un affilato coltello, recideva tre dita della sua mano destra , quelle che avevano benedetto il popolo credente.

L’orrenda cerimonia si concludeva, immediatamente dopo, col trasporto dei poveri resti nel cimitero degli stranieri di Roma per sottolinearne la estraneità rispetto alla città.

Ma quel corpo indifeso e putrefatto non doveva avere pace se è vero che, qualche giorno dopo, quello ch’era stato papa Formoso, veniva ancora una volta disseppellito e traslato da un popolo imbarbarito sulla riva del Tevere dove, con atto di disprezzo, veniva scaraventato nel fiume perché le acque cancellassero per sempre la sua memoria.

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