Roma
Ma quali virtù hanno da vantare i romani mentre ghignano su Marino?
Le primarie del Pd sono questa roba qui: che Felice Casson (antirenziano), il quale le aveva stravinte contro un signor nessuno (renziano per caso), riscuote una tale simpatia tra i veneziani che viene ridicolizzato da Luigi Brugnaro, imprenditore, lo stesso Brugnaro che, da sindaco di Venezia, sta pensando da qualche ora di vendere la «Giuditta II» di Klimt, capolavoro che sta a Ca’ Pesaro ma spesso è gloriosamente in giro per il mondo, giusto per far cassa, perché al comune mancano gli “schei” e da qualche parte dovranno pur uscire. (Brugnaro è lo stesso comico che ha negato la mostra di Berengo Gardin sui “mostri” marini, le grandi navi che entrano in città, perché restituirebbe cattiva immagine a Venezia).
Capite adesso la potenza criminale delle primarie del Pd, il suo intreccio assolutamente perverso, i cui esiti sono affidati agli astri e agli estri del momento e i cui effetti si abbattono ben oltre la sinistra? Ma le primarie non sono cattive o buone per definizione. La Liguria è un’altra delle terribilità di cui sopra, ascrivibile al tremebondo Renzi, mentre Pisapia, anni fa, fece una solenne pernacchia ai parrucconi del Pd e stravinse Milano con un’operazione che resterà nella storia. Vedremo che succederà per Roma, quali saranno le scelte, se si volerà alto, se il funzionariato comprimerà le istanze dei cittadini, racchiudendole tristemente in sezione. Qui però ci si vuole occupare di un aspetto che è persino più importante della scelta sulle persone e che si può tradurre in una semplice domanda: i cittadini sono meglio dei loro sindaci? È una domanda che affiora nei discorsi del popolino, ma anche di intellettualoni infaticabili, soprattutto quando il sindaco viene sommerso dalla vergogna e cacciato via con sommo disdoro. In questi casi, per naturale compensazione, il cittadino si trasforma in anima bella, mette il faccino pensoso e conclude che lui è molto meglio del voto che naturalmente gli ha dato, quando lo credeva «una gran brava persona». Nei giorni successivi alla rottura del contratto matrimoniale, s’innesca una sorta di spirale perversa che comprende, da una parte, il sentimento del tradimento politico, come un personalissimo gioco a due tra sindaco e cittadino elettore, dall’altra l’amletico dubbio d’essere stato raggirato in origine e dunque passare per vagamente rincoglionito agli occhi delle tue conoscenze.
In queste ore, a dire il vero, il civis romano si sta distinguendo per una certa sguaiataggine, che non tiene in minimo conto i contorni di un addio molto particolare come quello del sindaco Marino, il cui vero, grande, difetto è stato quello di non trasformarsi mai in «carne e sangue» per i suoi cittadini. Per cui essere percepito come un alieno, un signore distante dalle cose e dagli umani, insomma uno che non c’era mai. Un peccato mortale, “il” peccato mortale, se sei il sindaco di una città come Roma, in cui l’identificazione con il popolo è uno degli elementi distintivi di un mandato. Ma non ha rubato, non ha truffato (non menatela con gli scontrini per favore perché divento una belva), si è messo di traverso al malaffare (secondo Ugo Sposetti si sarebbe dovuto dimettere dopo la prima retata di Pignatone e “l’avrebbero riportato in Campidoglio in trionfo”). Oggi che ha perso invece, molti maramaldeggiano, gli danno dell’imbecille per strada e nei bar, i tassinari godono come godono per ogni sindaco che s’impicca, ed è significativo che anche una povera anima (non romana) come Chiara Moroni, già parlamentare del Pdl e poi transfuga, la mattina dopo si avvicini a Verdini seduto al bar Ciampini vociando perché tutti possano sentire: «Ma quanto sarà coglione Marino da uno a dieci, quarantanove?», con quello che le risponde: «Ma è fuori concorso!».
Non vi fa impressione quando i cittadini spingono sott’acqua il poveraccio che sta già annegando? Da dove viene questa baldanza liquidatoria, forse dal considerarsi moralmente migliori e in virtù di quale delle millanta possibilità di riscatto malamente sprecate, il cittadino (romano) pretenderebbe lo si considerasse tale per una nobilitate che non è mai pervenuta? Vogliamo solo parlare, giusto uno scandaletto tra i tanti, della solerzia con cui i cittadini (romani) si negano, si sono sempre negati, alla raccolta differenziata? E che cosa pretenderebbero di ritorno, una città che va come una lippa, pinta e linda, al profumo di violetta?
La realtà, amara, è un’altra e semmai rovesciata: è proprio il sindaco che forse (forse) può educare i cittadini. Può smuoverne la piccola coscienza, quella delle piccole cose che messe insieme possono abbattere l’immobilismo, scrostare i pregiudizi, rendere la cittadinanza più coesa. Al punto che un giorno può veramente camminare da sola. Non se ne abbiano a male i romani, ma qui si dovrà mettere a confronto l’eterna rivale culturale, quella Milano che anni fa sguaiatamente urlava contro “Roma ladrona” al tempo dei leghisti, scoperti anch’essi ladri con troppo ritardo, e che oggi parrebbe essere anni luce davanti, anche e soprattutto in termini di decoro collettivo.
Qual è, in fondo, il vero, grande, merito di Giuliano Pisapia, bravo sindaco della città? Averle restituito dignità. Quella dignità che si era persa nel malaffare, nelle milano evanescenti da bere e da sniffare (oh sia chiaro, si sniffa anche adesso, ma se intorno il contesto è molto più urbano si “sente” meno), e che oggi è un filo rosso collettivo. Un passaparola che rese magico anche «quel pomeriggio di un giorno da cani» in cui – era la solenne apertura dell’Expo – i black bloc misero a ferro e fuoco il cuore della città. La mattina dopo, dal basso, senza sollecitazioni politiche, i milanesi si armarono di spugne e ramazza pulendo muri e vetrine. Più di un’immagine, un pezzo autentico di storia italiana.
Ci si può azzuffare su chi sia migliore di chi. Sarebbe anche un dibattito appassionante e lungo e massimamente divisivo. Ma alla fine, il risultato sarebbe sempre lo stesso: i cittadini sono lo specchio del loro (amato?) sindaco. E se Roma è questa, i romani sono questo (anche per colpa di Marino che non ha smosso i cuori).
PS. Mi sorge un unico dubbio per i veneziani, che peraltro hanno votato Brugnaro a maggioranza. Ma siete davvero come lui, come il comico che vuole vendere Klimt all’asta per rimpinguare le casse vuote del comune? Adesso non vale il solito “mi sembrava così una brava persona” pronunciato a scoppio ritardato…
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