Roma
L’opportunità delle terre pubbliche: a Roma si costruisce il futuro
Mettersi in gioco, facendo forza sulla motivazione e sulla voglia di cambiare il futuro, creando lavoro e occupazione ripartendo dalla terra, coltivando e creando aziende in grado di competere sul mercato. Questa la sfida lanciata dalla Cooperativa agricola Co.r.ag.gio, a cui recentemente è stata affidata da Roma Capitale la gestione dell’area di “Borghetto San Carlo” abbandonata da decenni (22 ettari sulla via Cassia, nella zona Nord di Roma). Coltiva il Tuo Futuro diventa, infatti, l’occasione per trasferire e replicare l’esperienza di chi ha creduto nell’agricoltura di qualità e nel recupero delle terre pubbliche.
Giunta alla terza edizione, Coltiva il Tuo Futuro, vede la collaborazione della Rete Rurale Nazionale 2007-2013 e dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), nell’ottica di creare competenze e professionalità, investendo in formazione “sul campo” con l’opportunità di dar forza alle aziende che nascono grazie ai bandi regionali e comunali, nelle terre pubbliche rese disponibili.
A partire dal 10 marzo, si prevedono quattro giornate di formazione con 28 esperti del settore, degustazioni e esperienze innovative, oltre a 10 stage retribuiti in aziende agricole romane pubbliche. Questo il programma di Coltiva il Tuo Futuro, ciclo di seminari gratuiti, rivolti a un massimo di 80 aspiranti agricoltori. Un progetto pilota che inizia a dare i frutti attesi, con aziende agricole che operano e creano occupazione, dimostrando l’opportunità di investire sull’agricoltura di prossimità, rafforzando il concetto di filiera corta e di multifunzionalità.
Con progetti come questo si dimostra l’efficacia di creare agricoltura anche all’interno delle aree urbane, attribuendo valore a concetti come la Rete ecologica e la resilienza che non sono solo oggetti da collocare nei piani e negli strumenti cartografici ma possono diventare opportunità concrete per rafforzare la capacità di produrre servizi ambientali e tutelare gli equilibri naturali.
Ricucire le periferie e creare corridoi, in una logica di innovazione che non sia solo tecnologica e destinata a parti della città ma che sia, viceversa, in grado di rafforzare la capacità dell’intero ecosistema urbano di gestire gli spazi e le risorse, ripartendo proprio dagli ambiti rurali.
Nel 2015 la sfida posta dai cambiamenti climatici e dalla pressione sugli spazi naturali deve far comprendere l’urgenza di ripristinare aree dove sia presente un buon livello di naturalità, in connessione tra loro e con lo spazio urbano circostante: non solo un’esigenza di tipo estetico ma, soprattutto, un’occasione per favorire l’integrazione tra aree urbane con funzioni differenti, dove la biodiversità e la gestione delle risorse naturali diventano condizioni imprescindibili per il futuro.
Non a caso questo accade a Roma, dove è molto estesa la presenza di aree agricole, con un sistema di aree naturali e semi-naturali che compone un Arcipelago verde, in grado di svolgere funzioni importanti, anche in ragione del contributo ad azioni di adattamento ai cambiamenti climatici. Dal 2014 Roma è entrata a far parte dell’iniziativa, lanciata dalla Rockefeller Foundation, 100 Resilient Cities : cento città del Mondo impegnate a realizzare piani di resilienza, rafforzando la capacità dei sistemi urbani di adattarsi agli shock e alle situazioni estreme.
Qualcosa che ha un altro elemento di forza nella diffusione di orti e giardini condivisi: a Roma oltre 150 aree condivise, censite e mappate da Zappata Romana . Là dove prima c’erano aree abbandonate o degradate oggi si trovano luoghi restituiti all’uso pubblico, con l’impegno volontario di cittadini, associazioni e movimenti spontanei.
Le riviste internazionali la chiamano sharing economy ma si tratta della risposta collettiva al bisogno di dare un senso di comunità allo spazio pubblico e al verde urbano, troppo spesso abbandonato nel degrado e nell’incuria.
Per creare un’azienda agricola e renderla capace di stare sul mercato servono competenze e strumenti: il percorso formativo proposto si articola in quattro giornate, ciascuna delle quali interviene su aspetti legati all’innovazione del processo e alla necessità di rafforzare gli aspetti imprenditoriali di realtà che si confrontano quotidianamente con il mondo reale.
Siamo di fronte a un esperimento di social innovation, dove avviare un’impresa agricola significa impegnarsi per contribuire a costruire un futuro per la città; dove sporcarsi con la terra può significare la creazione di maggiore resilienza, per costituire dei presidii sociali, per praticare l’inclusione e la solidarietà non solo con provvedimenti assistenziali e di emergenza.
Si realizza l’idea, collettiva che solchi e vivai possano servire a consolidare l’idea di una città dove partecipazione e condivisione non siano soltanto dichiarazioni di principio, dove l’innovazione sociale parte dai bisogni e li trasforma in fatti concreti, piante e frutti da curare e da mangiare.
Serve coraggio ma, soprattutto, la convinzione che investire in agricoltura significa investire nel futuro: una convinzione che deve vedere coinvolti i diversi attori che compongono il quadro dello sviluppo. Oggi vengono gettati dei semi, indicando un’opportunità che, in questo caso, ha la forma di un solco e il profumo della terra arata.
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