Partiti e politici
Le ragioni di un insuccesso
Premessa
Ho fatto parte delle war room di centrodestra a Roma nelle ultime 3 elezioni per il sindaco e nelle ultime 2 elezioni regionali. Tutti e 5 i programmi elettorali, se fossero firmati dal curatore, recherebbero in calce la firma del sottoscritto. Conosco bene Giorgia Meloni e tutta la classe dirigente di Fratelli d’Italia, per via di frequentazioni ormai pluridecennali, da quando Alleanza Nazionale era in età prescolare… Lo stesso vale per Francesco Storace, ovviamente.
Quello che leggerete tra poco non c’entra niente con tutto ciò. E’ un’analisi weberianamente wertfrei, libera dai valori (e dagli affetti).
Cosa è successo a Roma
La scelta del candidato Sindaco ha lacerato oltre ogni previsione la coalizione di centrodestra. Una coalizione più presunta che reale, visto che oggi è più unita nei sondaggi, che nelle decisioni o nelle strategie. E, soprattutto, ha dato una prova di sé tragi-comica, tra conferme, smentite, ripescaggi, nomi improbabili e malattie che vanno e vengono. E dire che il candidato giusto per vincere c’era. Si chiama Alfio Marchini.
Un candidato civico – o almeno percepito come tale per il suo percorso a-politico – che avrebbe portato in dote una quota importante di voti alla coalizione e che, in virtù del suo posizionamento trasversale, sarebbe stato un ottimo competitor da doppio turno. Il migliore che il centrodestra potesse schierare. Forse il migliore in assoluto tra tutti i candidati, da destra a sinistra, per un’elezione a due turni.
Il vero assente, in tutta questa surreale e a tratti grottesca trattativa sul candidato, è proprio il sistema elettorale. All’interno di Fratelli d’Italia si sono opposti a Marchini per la tradizione familiare “di sinistra” (lo chiamano “Marxini”), senza considerare che proprio un candidato proveniente dalla sinistra e pronto a essere il candidato unitario del centrodestra può aggregare molti più consensi di qualunque candidato tradizionalmente “di destra”. Peraltro, se accettiamo l’appartenenza ideologica familiare come parametro di valutazione, risulta quanto meno curioso che Rita Dalla Chiesa invece fosse – secondo Giorgia Meloni – un candidato “invincibile”, avendo il fratello schierato a sinistra da una vita ed avendo dichiarato di “essere con Renzi”. È evidente che quella motivazione non regge. Non ha mai retto. Ma ci tornerò più avanti.
Dicevo del candidato perfetto, stante il sistema elettorale a doppio turno. Mettiamola giù brutalmente: se per ipotesi si fosse candidata Giorgia Meloni, leader nazionale di quello che in teoria è il primo partito di destra a Roma, sarebbe arrivata al ballottaggio pur avendo Marchini e Storace in campo? Possibile, ma difficile. E se anche fosse arrivata al ballottaggio, sarebbe stata in grado di allargare il proprio consenso al secondo turno? Probabilmente no. Se non ci sono riuscite Marine e Marion Le Pen alle regionali francesi – pur essendo rappresentative di un grande partito nazionale costantemente in crescita e nettamente in testa al primo turno – ci sarà una ragione…
Messa ancora più brutalmente: un elettore Pd, posto di fronte alla scelta Meloni-5 Stelle, voterebbe Meloni? Sicuramente no. Posto di fronte alla scelta Marchini-5 Stelle, voterebbe Marchini? Probabilmente si. Tutto troppo semplice per non essere compreso.
La verità è che si sta giocando un’altra partita, in proiezione nazionale, ma con logiche da condominio. Fratelli d’Italia, stando ai sondaggi, è il primo partito di centrodestra a Roma. Di conseguenza ha cercato di indicare il candidato unitario per fare il pieno di voti, come lista, e giocarsi questo consenso nella scelta dei capolista per le elezioni politiche future. Abbiamo visto com’è finita col “candidato imbattibile”, per cui ha dovuto cedere su Bertolaso. Un candidato con un profilo utile (il manager specialista in gestione delle “crisi”), ma che sarà inevitabilmente risucchiato nell’inferno giudiziario-mediatico, da sempre protagonista in ogni campagna elettorale.
Ma la scelta di Bertolaso è “figlia” di una “paura” ulteriore, che alla fine sembra aver convinto anche Berlusconi. Se Marchini fosse stato il candidato unitario e avesse vinto, avrebbe aperto un nuovo scenario: il centrodestra attuale, in bilico tra berlusconismo e lepenismo, avrebbe avuto, in prospettiva, un nuovo federatore, molto più “moderato” ma che non si chiama Silvio… Ecco perché, da un giorno all’altro, Marchini è diventato “di sinistra” anche per Berlusconi che lo aveva più volte “sponsorizzato” in passato. Con Marchini candidato unitario e dotato di una sua lista civica, Lega e Fratelli d’Italia sarebbero state penalizzate elettoralmente e il futuro del centrodestra (nazionale) avrebbe avuto altre tinte, più tenui, con ripercussioni anche su Forza Italia, che altro non è che il fan club di una pop star a quel punto sempre più decadente.
È lecito che loro facciano questi ragionamenti tattici. Per certi versi anche comprensibile. Ma è altrettanto lecito suppore che, se questi sono i presupposti, la coalizione sia solida quanto una capanna sotto un uragano. E soprattutto, se è pronta a sacrificare Roma per paura di Marchini, che futuro ha? Pensa di dare la spallata a Renzi perdendo ovunque le amministrative e barricandosi in un condominio sempre più disabitato?
“Prima di dare la spallata a Renzi, accertiamoci di essere ancora vivi”, questo sembra il “ragionamento”. Messa così, più che una spallata sembra una pacca sulla spalla.
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