Partiti e politici
La scienza e la ragione lo sanno: il grillino si estinguerà
Metti 163 persone sconosciute e diverse tra loro in due «stanzoni» – uno è la Camera uno il Senato – senza una storia comune, nè una passione veramente condivisa, senza la minima prova ch’esse siano politicamente, sentimentalmente, intellettualmente compatibili, agitale bene, freneticamente, come l’allegra brigata ha il tutto il dono di meritare, lascia che il complesso e vorticoso intreccio si sedimenti, che la centrifuga si plachi e riponga a terra tutte le sue istanze. Bene, a quel punto il più spericolato esperimento scientifico mai provato in laboratorio, e iniziato nel lontano 2013, avrà termine e sarai pronto a tirare le prime, terribili, conclusioni. Nel corso del mondo, ovviamente sotto forme diverse, questo esperimento è già stato tentato e ha sempre dato il medesimo risultato. Nessun agglomerato umano, nè tantomeno animale, prelevato a casaccio dalla vita corrente o dalla foresta, è mai riuscito a creare una stabile organizzazione sociale, una forma di vita con tanto di regole e indirizzi, uno stare insieme produttivo che sulla media-lunga distanza si è stabilizzato e ha cominciato a sfornare un bilancio col segno più. Perchè dovrebbe fare eccezione il Movimento 5 Stelle?
Quello che è accaduto al comune di Roma ha il pregio di essere paradigmatico di una condizione antropologica, prima ancora che politica. È la summa di ogni teoria sull’argomento, che identifica nell’avvicinamento al Potere il punto iniziale di un disgregamento collettivo e umano, che manda in frantumi quell’apparenza sentimentale che sino a quel momento aveva tenuto insieme persone così diverse sotto la voce «Onestà», ma che avrebbe potuto definirsi anche con la parola «Amore» (fu così per il programma politico di Cicciolina), oppure «Onore» e insieme «Rispetto» di stampo vagamente destroide, o anche «Giustizia» volendola declinare su temi più garantisti e per questo più complessi e difficili. Ma qual è quella comunità, creata solo con una bolla internettiana, che si presenta all’appuntamento con la storia con le carte in regola per segnarne le tappe, qual è quell’armata brancaleone che parte sbrindellata e finisce duca di York e, di grazia, per quale misteriosa ragione quei centossentatrè “occasionali” dovevano avere il dono delle relazioni sociali più di quanto possa accadere in società che invece si sono organizzate proprio attraverso studi comuni, storie condivise, progetti aziendali ben definiti?
Che finisse in vacca, parzialmente in vacca ma ancora con ottime possibilità di mandare all’aria tutto, non poteva essere solo un sospetto scientifico. Doveva almeno, tra persone ragionevoli, rappresentare una possibilità politica. Perche il punto è esattamente politico: se sei privo di una storia, di un’istanza condivisa, di sentimenti collettivi, hai il dovere primario di organizzare perfettamente la tua burocrazia. Che è poi mettere in sicurezza i comportamenti pubblici attraverso una buona organizzazione sociale interna. Solo così il tuo elettorato potrà “tollerare” gli sgambetti, le miserie, le invidie, i colpi bassi, riconducendole a un certo (vecchio) modo di far politica. Ma se quel modo di far politica lo hai contestato sin dalla nascita del Movimento, rifiutandolo in radice, e oggi invece ne riproduci perfettamente le dinamiche, chi ti amava oggi si fa (almeno) qualche domanda. Chi si faceva qualche domanda, se ne fa mille in più. Chi aveva dei dubbi oggi ha solo certezze.
Dell’impossibilià dello stare insieme. Il dramma è rivelarsi non meno peggio degli altri, almeno in termini di luminosità dei rapporti. Esce in questi giorni un libricino che naturalmente mette in luce la povertà sentimentale del Movimento, attraverso lo scontro finale tra Beppe Grillo e un Casaleggio sul punto di lasciare la vita. Lo hanno scritto due giovanotti che a vario titolo nel Movimento c’erano e che per vicende diverse ne sono usciti. Vendute dai giornali come rivelazioni straordinarie, le anticipazioni apparse non aggiungono nulla all’ineleganza che il buon cuore dei grillini ha già inteso mostrare in tutte le sue pieghe grazie ai memorabili casini del comune di Roma. Dunque un libro sostanzialmente inutile, perchè paradossalmente tardivo. Nel suo «Vite di uomini non illustri», Peppo Pontiggia raccontò diciotto anonime biografie con il vezzo di renderle vive e tormentate. Queste centossessantrè di oggi probabilmente gli parrebbero immeritevoli d’attenzione.
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