Partiti e politici

La Roma di Marino è al collasso ma Renzi non riesce a cambiare verso

27 Luglio 2015

Assessori che sbattono la porta, rifiuti che sommergono la città, mentre il trasporto pubblico volge al collasso con il Giubileo alle porte.  E un sindaco ancora una volta solo, schiacciato tanto dalle logiche del suo partito, il Pd, quanto dalla sua autonomia decisionale, che in una fase delicata come questa, da virtù si trasforma in problema. Ignazio Marino è al bivio, ferito ora anche dalle  pressioni mediatiche che arrivano  dai suoi amati Stati Uniti e minato da una popolarità in crescente calo, che neanche la nuova strategia comunicativa a colpi di video su Facebook riesce a risollevare (Alemanno non “docet”). L’attesa per le decisioni del ministro Alfano, che nelle prossime settimane dovrà pronunciarsi sulla relazione del prefetto di Gabrielli e sul destino di Roma, di giorno in giorno logora la tenuta della sua amministrazione, incapace di replicare sul campo alle critiche che piovono ormai da tutte le parti e impotente di fronte alla fuga degli assessori, ben tre nell’ultimo mese.

Eppure, poco meno di due mesi  fa, a ridosso della seconda ondata di arresti per “Mafia Capitale”, il sindaco di Roma, Ignazio Marino, sembrava più forte: al premier Renzi, che lo aveva sfidato pubblicamente dal salotto di Bruno Vespa con l’ormai celebre “Non basta essere onesti bisogna saper governare”, il sindaco aveva risposto dal palco della Festa dell’Unità, elencando tutti i risultati raggiunti durante i suoi due difficili anni di amministrazione: dai conti in ordine dopo gli anni di finanza allegra, alla chiusura di Malagrotta, fino alle unioni civili. A chi contestava il suo operato, Marino rivendicava i suoi successi, potendo contare sul sostegno del commissario Pd Matteo Orfini e sulla relazione dell’ex ministro Fabrizio Barca sullo stato di salute dei circoli del Pd romano, che di fatto aveva decretato la “pericolosità” di molti dei “nemici” casalinghi del primo cittadino.

Il buio sembrava passato e una nuova fase, seppur fra mille difficoltà, appariva all’orizzonte. Le inchieste della Procura avevano sancito la fine di alcuni monopoli, politici quanto amministrativi, archiviando la stagione del consociativismo romano. Ma i segnali che la strada ancora fosse ancora in salita erano appena dietro l’angolo. Sul finire di giugno, all’inaugurazione del secondo tratto della Metro C, la cui apertura nei tempi previsti rappresenta ad oggi il più grande successo di questa amministrazione, accanto al sindaco e al ministro Delrio, mancava il consorzio dei costruttori, capitanato dal potentissimo Caltagirone. “Senza il suo giornale si possono vincere le elezioni, ma non si può governare Roma” sosteneva il vecchio sindaco Veltroni e la cronaca dei giorni successivi, lo dimostrerà.

Le indiscrezioni sulla relazione del prefetto Gabrielli, consegnata al ministro Alfano, innescano una serie di dimissioni che lima profondamente il cuore dell’amministrazione. Accanto al potentissimo segretario generale Liborio Iudicello, vicino a Renzi, esce di scena anche il vicesindaco Luigi Nieri, l’assessore al personale, che in questi mesi aveva gestito la difficile trattativa con il personale capitolino.  Con la sua dipartita, i maggiori alleati del sindaco, di sicuro i più fedeli, quelli di Sinistra e Libertà iniziano a vacillare. Ad aprire la crisi definitiva, però, è il tema del bilancio. La necessità di ricorrere a uno sforamento del patto di stabilità “per poter almeno spendere quei soldi che ci sono, ma che puntualmente vengono bloccati dalla ragioneria”, racconta una persona informata, innesca una frattura politica insanabile con l’ala della giunta più vicina al governo Renzi.

E’ qui che si apre la stagione delle vendette. Quella del sindaco Marino, che venerdì scorso ha mollato il già dimissionario assessore alla mobilità, il renziano Guido Improta, attribuendogli politicamente il fallimento del trasporto pubblico locale. Quella dell’assessora al bilancio Silvia Scozzese, che invece sabato si è dimessa, parlando di “troppi affidamenti senza gare”, un vero e proprio affronto al sindaco, che nei mesi scorsi, subito dopo l’esplosione di Mafia Capitale, aveva puntato tutto sull’ingresso del magistrato Alfonso Sabella in giunta come icona della legalità. Quella originaria del premier Matteo Renzi, che dopo aver chiesto un passo indietro al sindaco, di fronte al suo rifiuto, ha deciso di fargli il deserto intorno, negando ancora oggi i fondi per il Giubileo e arrivando a mettere in dubbio domani la sua presenza alla festa dell’Unità.

Marino in queste ore sta tentando di ricostruire la nuova giunta. Con difficoltà,  anche perché l’ordine partito dall’alto è quello di lasciare da solo il sindaco, libero di andare a sbattere. Lo stesso Zingaretti, al quale nei giorni scorsi era stata chiesta una mano dal partito (ossia Orfini),  ha preferito non dare nessuna indicazione. Per ora l’unico nome (quasi) certo è quello di Causi. Intanto, però, la città muore, anche perché le inchieste della magistratura, come sul verde, hanno di fatto bloccato interi servizi per mesi. Le foto sui giornali dei camion bar, allontanati dal centro storico grazie all’impegno dell’assessora Marta Leonori, sono state sostituite velocemente da quelle della spazzatura. La privatizzazione dei servizi pubblici è ormai dietro l’angolo e l’Atac rappresenta solo il primo capitolo di una saga, che ha già trasformato i cittadini in semplici utenti. Ma il problema principale, e quello di cui meno si discute, è nel cuore dell’amministrazione, nei dipartimenti, nei municipi, dove le inchieste della Procura hanno falcidiato un’intera classe di dirigenti, lasciando diverse aree nevralgiche scoperte. Non basterà il civismo post datato di Alessandro Gassmann, quello di #Romasonoio ma da “settembre”, a salvare Roma. Che senza una riforma strutturale sarà ingovernabile per chiunque. Anche da un renziano di fede comprovata.

 

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