Partiti e politici
La fine della primavera per i Sindaci
All’indomani di Tangentopoli quando la politica sembrava avesse raggiunto il gradino più basso nella considerazione popolare, sulle ceneri della Prima Repubblica gli italiani trovarono nel loro personale uovo di Pasqua il partito dei sindaci. Era il 1993 e divennero sindaci per la prima volta Antonio Bassolino a Napoli, Francesco Rutelli a Roma, Massimo Cacciari a Venezia, Leoluca Orlando a Palermo, Diego Novelli a Torino, Enzo Bianco a Catania, Riccardo Illy a Trieste, Adriano Sansa a Genova, un patrimonio politicamente incommensurabile che la sinistra italiana ha sperperato nel giro di pochi anni.
Da allora abbiamo assistito nel corso di questi anni a un progressivo e costante processo di autodistruzione che ha pochi riscontri nella storia politica recente e non solo italiana. Una coalizione che governava il Paese dalla periferia al centro, dai piccoli comuni alle grandi città, dalle province alle regioni più grandi, ma incapace di gestire quel consenso generoso e largo ottenuto dopo anni di opposizione e di malgoverno.
Quel partito, come scrive Oscar Buonamano su L’Espresso, che i giornali battezzarono il partito dei sindaci, sembrava essere davvero la panacea di molti dei mali dell’Italia, rappresentava una speranza per tutti anche per coloro che non avevano votato per il centrodestra (come scrivo qui, cliccate).
Quel patrimonio, politico e umano, oggi non c’è più. Non c’è più il partito dei sindaci, non c’è più quella sinistra, quel centrosinistra. Uomini di diversa provenienza politica, Bassolino, Rutelli e Cacciari avevano anche un patrimonio culturale diverso, ma capaci di fare sintesi e rappresentare i desideri e i sogni della maggioranza degli italiani che li scelse concedendogli un consenso ampio, in alcuni casi ampissimo come fu per Leoluca Orlando che vinse quelle elezioni con il 75,18% dei voti. Quella sinistra e quel centrosinistra fu capace di eleggere prima e difendere in un momento successivo quei sindaci, gli diede la forza politica per amministrare quelle città e portare fuori, momentaneamente, l’Italia da quella palude che fu Tangentopoli.
Oggi non è più così. In periferia come in centro, a Roma come nel più piccolo paese della Repubblica. E la vicenda di Ignazio Marino ne è rappresentazione la rappresentazione plastica. Non si tratta di giudicare l’ex sindaco di Roma, per questo ci sarà tempo e luoghi e strumenti più idonei di questo, ma di prendere atto, definitivamente, che la politica non è più in grado di assolvere al proprio ruolo. Di governare i processi.
Per queste ragioni la prossima competizione elettorale di Roma ci riguarda e riguarda tutti. In ballo non c’è sola la poltrona della città più importante d’Italia e di una delle città più importanti del mondo. In ballo c’è il presente e il futuro della politica in Italia e tutti, ma proprio tutti, siamo chiamati a dare il nostro contributo.
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