Roma
Il welfare dell’Isis è forte (anche a Roma)
La minaccia dell’Isis fa paura. Anche se la traduzione postata da un certo Apint almokhtar e pubblicata anche qui su Gli Stati Generali è stentata e poco comprensibile. Fa paura per l’uomo armato in primo piano con il Colosseo sullo sfondo. E anche perché inneggia a Omar al-Mukhtar, considerato in Libia un eroe per avere guidato la guerriglia anticoloniale contro gli italiani negli anni venti (scrive Marco Carta). Ci sono migliaia di Omar – dice il messaggio: «Oggi ci sono gli immigrati leoni».
E chi sono (potrebbero essere) questi Omar? Pensando al sistema dell’accoglienza, che qui a Roma ha fornito linfa vitale a Mafia Capitale, qualche idea viene in mente. Ragazzi fuggiti da guerre, povertà, persecuzioni arrivano da noi, prima guidati dall’istinto di sopravvivenza e poi, magari e giustamente, per vivere in modo dignitoso. La delusione, però, è immediata. A Roma, nella capitale di Italia, vengono parcheggiati in casermoni in periferia, con 2,50 euro al giorno, costretti a girare tutto il giorno carichi di oggetti spesso inutili, o ridotti a braccia per l’agricoltura in cambio di due soldi, o ancora reclutati dalla criminalità organizzata, detestati e guardati male (o peggio aggrediti) dai loro vicini di casa italiani. Non possono pregare (se non sui marciapiedi), la loro cucina “puzza”, secondo molti, se salgono in metro i più paranoici (e sono in aumento) si spostano.
Mi sono sempre chiesta come sia possibile trascorrere intere giornate a sentirsi dire no, “no grazie”, se si è fortunati. A ripetere sempre la stessa nenia “cartine, accendini, filtri” e a ricevere come risposta “No” la maggior parte delle volte. “Siete troppi”, ed è vero,chi si siede a un tavolino ne vede passare almeno dieci in un paio d’ore, ma è con “il culo al caldo” e l’unico sforzo che deve fare è aprire il portafogli o dire che non ha bisogno di nulla.
Ieri in piazza dell’Esquilino hanno manifestato i rifugiati dei centri accoglienza. Tredici di loro sono stati espulsi da un centro a Ponte di Nona per avere messo in atto una protesta perché, dopo lo scandalo di mafia capitale, non avevano più ricevuto i pocket money e la tessera dell’autobus. I primi di febbraio sono stati prelevati dalla forza pubblica e portati in caserma. Ora vivono per strada «Io qui non conosco nessuno – ha raccontato, uno di loro – che faccio, dove vado?». Durante la manifestazione organizzata dall’Unione sindacati di base i giovani presenti chiedevano diritti e lavoro. Di solito ricevono soprusi e sfruttamento.
Come scriveva Cristian Elia sempre qui su Gli Stati generali, il discorso sociale è fondamentale. «Perché di redistribuire ricchezze, nazionalizzare i proventi della vendita delle risorse, dare servizi di base alla popolazione civile parlano solo loro (l’Isis ndr)». Dove può trovare voglia di riscatto un ragazzo scappato da casa sua e arrivato in Italia per miracolo che si trova di nuovo disperato, solo e senza prospettive? Magari ha una grande forza di volontà, non si lascia abbattere, incontra qualcuno che lo aiuta (associazioni, sindacati, parrocchie) abbassa la testa, prega il suo e Dio e spera nella divina provvidenza. Oppure no. Oppure si stufa di sentirsi dire No, di essere insultato, di non avere un posto in cui dormire. E in questo caso l’alternativa può anche essere di andare a cercare, come dicevamo sopra, gli unici che parlano di redistribuire ricchezze, risorse, servizi. Di chi sarebbe la colpa se si verificasse questa seconda, malaugurata, ipotesi? Probabilmente di chi amministra e decide e non ha voluto vedere e non ha saputo creare un sistema di accoglienza in grado di dare a questi ragazzi una seconda chance, lasciandoli senza possibilità di scegliere, o con una sola scelta, la più sbagliata. Un po’ come accade con le mafie (leggi qui) che forniscono un welfare parallelo, «mettendo le dita nella povertà e solleticando l’ingordigia».
(Foto Canon Italia)
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