Roma

Il marcio su Roma

9 Giugno 2015

Resta stupefatto ma in fondo non più di tanto  chi ha una minima frequentazione dei  grandi apparati  burocratici italiani nell’apprendere alcuni dettagli sulla gigantesca inchiesta di “Mafia Capitale”.   E tuttavia certi squarci sulla gestione amministrativa di una regione come il Lazio, sui suoi “buchi” nella Sanità per esempio, lasciano qualche residuo di stupore. Possibile? Sì, possibile. Ecco come un giornalista, Edoardo Narduzzi,  racconta la gestione della Sanità presso la Regione Lazio. In precedenza lumeggia la figura di Guido Magrini, apparatcik del vecchio PCI-PDS che scala il potere amministrativo della Regione, anche con Zingaretti,  fino al punto di assurgere  al vertice della Direzione regionale per le politiche sociali, uno dei punti di snodo del denaro pubblico  sotto inchiesta in questi giorni.  Negli  origliamenti del ROS Buzzi dice di Magrini   «è amico mio mio mio…».   Quindi Narduzzi prosegue con questo squarcio di vita amministrativa italiana che ha dell’incredibile (ma ormai lo sappiamo che il romanzo italiano è intessuto delle trame più inverosimili, che il romanziere della realtà italiana  non esagera mai abbastanza nell’inventare le storie più  fantasiose e improbabili, tali solo sotto altri cieli).

All’inizio del 2006 lo incontrai personalmente. Il disavanzo della sanità laziale viaggiava nell’intorno di 1,5 miliardi annui ed il debito accumulato era il più importante d’Italia. Volevo capire con quali strumenti tecnologici gestiva e controllava una spesa sanitaria di 10 miliardi annui. La conversazione che si produsse durante quell’incontro nella sua stanza di dirigente della Regione Lazio è una delle più surreali della mia intera storia professionale. Una pièce degna del teatro dell’assurdo di Ionesco. Gli chiedo di farmi capire quale strumento di reportistica e di analisi degli indicatori di spesa utilizzi. Lui prende dalla tasca interna della sua giacca il portafoglio, ne estrae un foglietto di carta ripiegato almeno quattro volte e pieno zeppo di annotazioni a matita. “Le diverse fonti di spesa della sanità sono tutte qui, le porto sempre con me”, mi rispose. Pensavo fosse un scherzo e gli precisai la mia domanda: “Vorrei capire come tiene sotto controllo l’andamento della spesa farmaceutica o quella di una singola Asl per capire che tra budget e avanzamento della spesa corrente non ci sia alcuno scollamento che non viene colto e che si trasforma in disavanzo ad anno chiuso quando nessuna politica correttiva è più possibile?”. “ Allora la spesa per i laboratori di analisi vale circa 700 milioni annui e la paghiamo tramite il San Giovanni….”, iniziò a leggere gli appunti a matita per darmi evidenza che a lui della tecnologia non gliene poteva importare nulla e che tutto era controllato con carta e matita in pieno ventunesimo secolo.

Alcune considerazioni aggiuntive urgono, nel tentativo disperato di spiegare i sempiterni “Misteri dei ministeri” italiani. Ebbene, “I politici vanno e vengono, gli amministratori restano”, è il motto che come un cartiglio invisibile si può leggere sopra qualsiasi organo elettivo che si avvale di una struttura amministrativa sottostante: comuni, regioni, governi, parlamenti, presidenze del consiglio ecc, ecc. In genere i politici non vi buttano nemmeno un occhio su questa struttura sottostante o perché la ritengono una macchina neutra e docile al proprio volere o perché non ci capiscono davvero nulla. I politici, in genere, sanno poco o niente di quelle scienze un tempo dette “camerali”: contabilità di stato, diritto amministrativo, finanza pubblica ecc ecc. Al massimo, se sono stati marxisti o cattolici, sanno tutto delle proprie più minuscole eresie ma non sanno neanche distinguere tra ciclo attivo e ciclo passivo.

Eppure le macchine amministrative sono la vera plancia di comando, la “stanza dei bottoni” come diceva Nenni, che dichiarava  di non averla trovata non appena messo piede nel Palazzo. Un politico accorto dovrebbe dormire (ma prima dovrebbe imparare a saperlo leggere) sopra il bilancio dell’amministrazione di cui è a capo. È  lì che si possono fare tutte le “manovre”, ed è proprio lì che in genere il diavolo del malaffare si nasconde. Spesso i politici non sanno nulla del loro organigramma amministrativo o fanno finta di non vederlo per la paura di poterci rimanere incastrati. Se sono a capo di un comune importante, preferiscono lanciare la macchina dei sogni, che so, la mostra del cinema, il grande museo – progetti esornativi e di grande visibilità ma che non impattano con la vita di tutti i giorni dei cittadini – sono cioè affetti da quella che in Francia si chiama la “sindrome del faraone” e che cattura ogni presidente della Repubblica: essere ricordato per un grande progetto spesso edilizio: il Beaubourg, la Grande Biblioteca ecc ecc, nella convinzione che de minimis non curat praetor. E invece no: è proprio controllando la macchina amministrativa (il regime concessorio dei suoli pubblici per esempio, i permessi agli ambulanti, gli affitti delle case comunali, le nomine nelle partecipate, possedere una mappa delle parentopoli affastellatesi negli anni ecc. ecc.) che si fa la buona politica. Ma è la cosa più difficile da fare perché proprio lì, nelle pieghe di bilancio, si annidano gli interessi di questa o quella conventicola. E spesso spostando una cifra che si “toccano i fili della luce”, e allora si preferisce glissare…

L’Amministrazione  non assorbe in sé tutta la politica, ma credo che non si possa fare un passo in nessuna direzione  senza interrogarsi sulla sottostante macchina amministrativa, perché è proprio con le gambe di questa che marciano le idee (politiche e non solo).  Ma le cronache ci informano che il vasto programma della bonifica della politica e delle amministrazioni non è stato nemmeno iniziato, e che qualora lo fosse non sapremo mai se giungeremo al termine della notte, perché in fondo ci potrebbe essere lo schianto definitivo del Paese.

^^^ La locuzione “marcio su Roma” è presa in prestito da un titolo di Dagospia.

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