Arte

Il lamento di un popolo e il trionfo di Kentridge: così Roma torna contemporanea

21 Aprile 2016

L’effimero, il reversibile, ma soprattutto ciò che risulta dimenticabile sono questi gli elementi che rendono una città ancora contemporanea. Dopo anni di forzata timidezza all’Italiana Roma riaccoglie un evento degno del suo defunto primato. Roma che si rigenera, Roma che non ha avuto inizio e (forse, con un po’ d’amor proprio) non avrà termine, Roma che durante Il Natale romano si concede un’occasione.

L’associazione Tevere Eterno, nata nel 2005 e desiderosa di restituire alla città il protagonismo che merita, promuove perciò un progetto che si spera andrà a segnare questo 2016,  dalla ferma convinzione che l’Arte rappresenti uno dei maggiori catalizzatori di riqualificazione del territorio. L’iniziativa prende spunto dal desiderio di riappropriarsi delle strisce di terra tangenti ai fiumi fondatori, un tempo cuori pulsanti dello sviluppo cittadino. I gemelli romani non a caso furono salvati dalle acque, affidati al fiume per essere uccisi, ma dal fiume infine trassero l’opportunità di fondare la più grande potenza che mai abbia popolato il continente.

L’idea si basa sul concetto di riappropriazione, letto in ogni sua sfaccettatura. Riappropriazione di uno spazio, riappropriazione di celebri memorie, riappropriazione di un ruolo internazionale che tra le serate del 21 e del 22 Aprile alle 20.30 vedranno Piazza Tevere illuminarsi in uno spettacolo a porte aperte. Un intervento miracolosamente pubblico, che finalmente guarda alla cittadinanza con un fare quasi paterno e senza, nota sconcertante del progetto, chiedere nulla indietro. Un atto di altruismo nato da un investimento che, da manuale, non partecipa dei fondi della città, bensì è frutto di finanziamenti di privati e delle gallerie Lia Rumma e Marian Goodman.

Il dono fatto alla città consisterà in una Galleria a cielo aperto interamente dedicata all’arte contemporanea, una nuova Piazza, situata sull’argine ovest del fiume Tevere, nel tratto compreso tra ponte Sisto e ponte Mazzini, dove la fisionomia dell’argine permette l’agibilità,  spazio ad oggi abbandonato al suo stato di vuoto. L’obiettivo è quindi quello di ricordare un concetto di arte contemporanea dove il dialogo tra artista, spettatore e spazio espositivo è reso possibile dalla capacità del primo di respirare ancora e di poter perciò avviare un confronto su un’opera “aperta”.

L’inaugurazione del progetto, dopo ben 10 anni di controversie burocratiche e politiche, è stata affidata all’opera di William Kentridge, personaggio di spicco del panorama artistico internazionale. Disegnatore e regista di origini sudafricane, ad oggi già presente sul territorio romano nella collezione permanente del museo MAXXI e che il 16 Aprile approderà al MACRO con una mostra sugli schizzi preparatori per piazza Tevere, precedentemente esposti nella ‘56 biennale d’arte di Venezia. La violenza che da sempre caratterizza la sua produzione e certamente il carattere fortemente provocatorio nei confronti dell’ingiustizia sociale dilagante nel suo paese di origine, hanno portato Kristine Jones, direttrice artistica dell’associazione Tevere Eterno, ad esigere una sua produzione ad hoc per la rinascita del lungotevere. Un’opera che contenesse in se stessa la multiformi anime di un’Italia supina, che non si limitasse ad una tradizionale celebrazione del passato di una nazione risaputamente “prima”, ma che ne inglobasse le sue ombre, le sue radicate vergogne, che ad oggi forse danno vita ad una più immediata rievocazione dell’Italia che è. L’opera rappresenterà perciò la celebrazione del passato della città e della nazione, intrisa di presente ed affogata nelle acque melmose del suo passato (non altra caratteristica poteva essere data ad un’opera così fluviale).

TRIONFI E LAMENTI, titolo ufficiale della rappresentazione, trasforma perciò la dea Italia in una summa di frammenti di passato, ricordandoci che essa è stata nutrita da vittorie e in egual modo da sconfitte. La storia di Roma viaggia sul Tevere, dalle acque riemerge per essere restituita a Roma attraverso novanta figure, alte più di 10 metri, nuovi e silenziosi abitanti del quartiere: la lupa privata dei suoi “figli adottivi” ed inserita nel mercato della produzione casearia, protagonisti felliniani costretti nello spazio limitato di una vasca demodè, il corpo di Aldo Moro nel bagagliaio di una Renault 4. Ombre e Luci di una medesima grandezza per la prima volta accostati ad una minima distanza.

La vera ironia di una simile ambizione risiede nella materia prescelta per l’arte, e il quasi romantico senso di rispetto proprio solo di un grande artista che ne deriva. La processione dei più grandi colossi della storia italiana sarà infatti composta da nient’altro che vile sporcizia, dalla temuta, ignorata e spesso mortalmente offesa patina biologica che invade i nostri monumenti storici, le nostre piazze e (per quanto nessuno se ne fosse curato fino ad ora) anche i muraglioni del Tevere per tutta la loro estensione.

L’Arte di Kentridge è perciò nata da una pulizia volutamente non meticolosa, lasciandoci nient’altro che mirabili macchie, che con i loro 550 m di lunghezza si andranno a configurare come l’istallazione di arte contemporanea di maggiori dimensioni mai realizzata. Una grandezza, non solo fisica, che grazie a quest’iniziativa concede una nuovamente la possibilità di essere la prima della classe ad una città rimasta in una punizione auto inflitta per troppo.

Domani “trionfi e lamenti” prenderà vita, portandosi forse via un’infima parte del grigiore, sfortunatamente non biologico, che ricopre i perimetri italiani da tempi che non siamo nemmeno più capaci di ricordare diversamente. Domani Roma torna contemporanea.

Foto di copertina tratta dal sito ufficiale dell’iniziativa – © Marinelli 2016

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