Roma
Ignazio Marino minaccia, ma ormai “uno vale uno”
Luigi Di Gregorio, negli ultimi pezzi che ha pubblicato su questa testata e che consiglio vivamente di leggere, ha affrontato in modo molto approfondito quei fenomeni mediatici e politici che hanno portato alle semplificazioni estreme di questo tempo e ad alcune delle loro conseguenze più visibili, dal padroneggiare dei personalismi in politica, fino all’assunto che tutti possano aspirare ad essere (e a fare) tutto, anche senza una formazione, anche senza un percorso coerente.
Estendendo il ragionamento oltre la politica, ho spesso incluso tutto questo in quella che ho definito “rarefazione del pensiero”, che non va letta come estinzione di un “pensiero” ideologico – ne è semmai la logica conseguenza – ma vera e propria perdita della capacità di elaborazione mentale spicciola, una lenta e inesorabile pigrizia del cervello indotta da fattori esterni, dallo sviluppo tecnologico ai cambiamenti più profondi delle società moderne.
Ma torniamo alla politica, a quel “personale” del politico che diventa sempre più argomento di consenso e talvolta di vera e propria battaglia di principio, sia per i vincenti che per i vinti. E un vinto per eccellenza è l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, che oggi è entrato a gamba tesa sul ballottaggio del 19 giugno dettando queste due condizioni a Roberto Giachetti in cambio di un suo endorsement: «Vorrei due impegni: uno, la promessa scritta che chi vince non farà più debito, quindi la continuità con la mia gestione. Due, l’impegno a non fare più porcherie politiche come quella imposta a me. Quindi io dico: se Giachetti si presenta con un foglio firmato da Renzi in cui dice che è stata un’azione gravissima deporre il sindaco con un atto notarile, lo voto. Altrimenti, mi dispiace, non posso votarlo».
Il sospetto che l’attuale priorità di Ignazio Marino sia quello di incrementare per quanto possibile le vendite del suo ultimo libro (non è politica, è marketing) è forte, ormai dell’argomento si parla poco da un bel po’, ma certamente il tema della vendetta per l’umiliazione subita è evidente, non a caso il bersaglio della sua richiesta inaccettabile è il solito Matteo Renzi, da lui definito il mandante di quei 26 consiglieri che lo fecero cadere dallo scranno con le firme dal notaio.
L’anno scorso, di questi tempi, scrivevo di quanto l’ex sindaco della Capitale fosse però inviso ai suoi concittadini, di quanto in città il suo consenso fosse ridotto ai minimi termini. Dal canto suo, Marino scelse la via dell’isolamento, chiudendosi nel suo cerchio magico ed ergendo un fortino di cartone che sarebbe venuto giù di lì a poco. Mai una parola di autocritica, mai una spiegazione sulle sue troppe e bizzarre mancanze, dalle vacanze ai Caraibi mentre il Governo commissariava Ostia per infiltrazioni mafiose e nominava Gabrielli alla gestione del Giubileo, all’abbandono delle periferie da parte della sua amministrazione, tra i principali motivi della valanga grillina in quelle zone della città.
La personalizzazione, svuotata di idee, rappresenta il grande declino della politica moderna. È ciò che la svuota di significato e trasforma gli stessi partiti – come scrive Di Gregorio – in “partiti personali”. Ignazio Marino è stato un artefice convinto di questo declino, ponendosi da sindaco davanti alla città che amministrava, senza accorgersi che dietro di lui imperava il caos. Per questo, ad esclusione dei suoi più fedeli “marziani in movimento”, che già al primo turno hanno presumibilmente votato in maggioranza per il Movimento 5 Stelle e per giunta hanno già acquistato una o più copie del suo libro, il 19 giugno potrà contare solo su un voto, il suo. Uno vale uno insomma, così si chiude il cerchio.
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