Partiti e politici

Grillo per ora difende la Raggi: e fa bene, perché il responsabile è lui

15 Dicembre 2016

In politica, come in ogni lavoro, vale il principio di competenza e gradualità. In questi anni, nella politica italiana, abbiamo assistito al progressivo logoramento e poi sovvertimento di questi principi. Tutti, in queste settimane, ci siamo giustamente molto concentrati sulla battuta d’arresto del cammino di una leadership carismatica arrivata in pochi anni dalla politica in provincia di Firenze ai meeting internazionali con Obama e Merkel. Siamo tra quanti hanno, per tempo, dubitato che un processo così rapido avesse anche i crismi della solidità. Vedremo se il gap sarà colmato, e come, nei prossimi passaggi governativi e partitici.

Alla faccia dell’alternativa che prometteva di rappresentare, tuttavia, il Movimento 5 Stelle mostra la stessa identica malattia, e non da oggi, anche se da oggi probabilmente sarà tutto più chiaro. La perquisizione (democristianamente ridotta ad “acquisizione di atti” da Beppe Grillo sul suo blog) cui sono stati sottoposti gli uffici del Comune di Roma e quelli del sindaco Virginia Raggi rappresenta insieme una conferma e un salto di qualità nella crisi che di fatti attraversa il governo capitolino fin dall’indomani della roboante vittoria alle amministrative di Giugno.

Settimane e settimane ci vollero per chiudere la giunte, ma ne bastarono appena due per vedere saltare le due teste più pesanti e importanti della squadra: quella della magistrato Carla Ranieri, capa di gabinetto del sindaco, è quella dell’assessore al bilancio Marcello Minenna. Erano due nomi pesanti, che con le loro competenze professionali servivano a garantire una squadra in gran parte giovane, e non esperta. Volevano, comprensibilmente, avere voce in capitolo sulle partite e le procedure che contano. Il cerchio magico di Virginia Raggi, che non li aveva mai davvero voluti, forzó la mano fino ad ottenere le doppie dimissioni, con tanto di (fragile) pezza d’appoggio fornita dall’Anac di Raffaele Cantone.

La radice dei fatti di oggi sta indubbiamente in quel rifiuto di accettare personalità esperte e solide, ma anche autonome e necessariamente critiche. A monte di questi fatti, ancora, sta un procedimento di formazione e selezione della classe dirigente davvero troppo friabile di fronte alle responsabilità che impongono i disastri (tutti pregressi, come giustamente dicono venti volte al giorno i 5 stelle) accumulati nel tempo a Roma. Sta in un processo fondato sulla forca e la condanna preventiva, solo che poi quando governi un avviso di garanzia da innocenti può proprio capitare a tutti. E sta in una leadership affidata a giovani di dubbie speranze, tra i quali svettava – e abbiamo detto tutto – Luigi Di Maio e la sua gestione omissiva della posta elettronica.

Per ora il movimento, nella persona di Beppe Grillo, ha giocato la carta della difesa a oltranza, della macchina del fango gettata su Virginia Raggi. Può forse salvare la giunta romana nel breve periodo o nel medio. Ma non può reggere col passare del tempo. Perché il problema è che l’Italia ha molte malattie, complicate. Un gruppo di liceali che vogliono studiare medicina, aizzati ed esaltati da un vecchio capo carismatico che pure non è dottore, non sono l’equipe giusta per guarirla. Prenderne atto e cambiare rotta è necessario, al di là di ogni eventuale sviluppo giudiziario e di qualunque impatto sul consenso. E questo, dopotutto, è il vero problema.

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