Roma

Gli imprenditori dell’emergenza

12 Dicembre 2014

Fin troppo facile fare affari con le emergenze, in particolare quelle sociali e quelle ambientali: emerge, dalle indagini su MafiaCapitale, un insieme di corruzione, potere criminale e politica assente, una poltiglia indefinibile dove alcuni riescono a sguazzare felici e contenti.

Rifiuti, immigrati, degrado, diventano altrettante emergenze, diventate tali grazie alla politica distratta di questi anni: emergenze che si trasformano nella normalità, senza programmazione e senza responsabilità.

La discarica più grande in Europa? Non è un problema perché è più conveniente, fa risparmiare soldi e fatica.

Il degrado di periferie cresciute senza una pianificazione? Che problema c’è? Al degrado aggiungiamo disagio, conflitti tra poveri e microcriminalità, poi qualcuno troverà una soluzione.

Sembra normale, a questo punto, che qualcuno, possa augurarsi un “2013 sia in anno pieno di monnezza, profughi, immigrati, sfollati, minori, piovoso così cresce l’erba da tagliare e magari con qualche bufera di neve: evviva la cooperazione sociale”.

Nel vuoto della politica, concentrata sulla gestione di voti, preferenze e tessere, resta aperta una prateria dove prendere commesse, offrire lavoro e risolvere problemi: uno scambio perverso dove l’amministrazione pubblica diventa l’hub attraverso il quale smistare risorse e appalti.

Diventa un compito inutile preoccuparsi di affrontare le questioni legate allo sviluppo della città in un’ottica di programmazione: il nesso criminale è dato proprio da una classe politica che decide di abdicare al proprio ruolo e di amministrare l’emergenza piuttosto che gestire l’ordinario.

A farne le spese è la città, nel suo complesso: una città che perde opportunità, costretta a sopportare il degrado come un costo necessario per garantire il mantenimento in vita di un sistema economico che proprio di quel degrado e di quelle emergenze ne ha fatto la materia prima per produrre ricavi.

Inutile chiedersi come mai non si giunga a realizzare l’innovazione e far diventare la città più intelligente: le smart city e la green economy vanno in un’altra direzione, dove le scelte di indirizzo politico si traducono in capacità di gestione e di investimento che non sono vincolate agli affari malavitosi e agli interessi di pochi.

Se Roma non è Berlino, Copenhagen o Barcellona un motivo ci sarà e questa strategia dell’emergenza costante ha consentito che il futuro passasse sopra al cielo della città senza che nessuno lo cogliesse: oggi è disarmante registrare i ritardi accumulati nelle politiche della mobilità, dell’energia, della gestione dei rifiuti, della manutenzione urbana. Ritardi che sono costi addossati alla collettività, che sopporta ciascun cittadino e ciascuna impresa, condannati a subire una città con scarse capacità competitive, dove investire per favorire l’innovazione e la rigenerazione urbana è sempre più complicato, rischioso e improduttivo.

Abbiamo pensato di costruire la smart city, ma non ci siamo accorti che siamo la città dei furbetti.

 

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