Roma

Giubileo a Gabrielli: Renzi fa le prove generali per il dopo-Marino

12 Giugno 2015

Campidoglio, ore 18 , sotto la statua del Marco Aurelio un capannello di gente si ritrova fra i turisti e “convoca” un consiglio comunale straordinario. In strada ci sono il comitato “Deliberiamo”, che che da oltre un anno attende che vengano calendarizzate dall’assemblea capitolina le 4 delibere popolari  su acqua, scuola pubblica, patrimonio comune e finanza sociale, dopo aver raccolto oltre 32 mila firme in tutta la città. C’è la rete “Spiazziamoli”, che da 65 giorni aspetta che qualcuno risponda all’appello di organizzare un consiglio aperto sulle mafie. Ci sono i lavoratori senza lavoro della società partecipata Multiservizi che da mesi assediano il Campidoglio, per avere risposte sul proprio futuro.  Ad andare in scena, però non è una semplice manifestazione di protesta, ma la crisi della rappresentanza.  L’esplosione di Mafia capitale avrebbe dovuto aprire la città alle forze pulite della città. Per ora ha solo sospeso gli spazi democratici.

La politica, insomma, è fuori, in strada. Nei palazzi del potere, al contrario,  domina l’inedia e la paura, ma soprattutto il silenzio, quello prodotto dalla seconda ondata di arresti dello scorso 4 giugno. Soluzioni per uscire dalla crisi? Nessuna. Il sindaco Ignazio Marino non passa giorno senza rimarcare le discontinuità rispetto agli anni bui di Alemanno, per mettere a tacere le richieste di dimissioni e scongiurare l’ipotesi del commissariamento. Dietro di lui, però, c’è il vuoto. Chi si espone, lo fa perché è costretto, come il deputato Umberto Marroni, a dimostrare la propria estraneità al sistema criminale Buzzi – Carminati. Gli altri, preferiscono tacere e mantenere un profilo basso. Chi è riuscito miracolosamente a scampare dalle intercettazioni, prova a ricostruirsi una nuova verginità,  magari cancellando dal proprio profilo Facebook, come hanno fatti alcuni presidenti di municipio, tutte le tracce possibili che riconducano a qualcuno dei politici arrestati. E’ anche per questo che il destino del partito di maggioranza, al di fuori della decantata trasparenza, si decide a porte rigidamente chiuse. Perché dietro il destino del Pd, c’è quello di una città e non solo: “Se cade Roma – come suggeriscono in tanti, tra i frequentatori e i praticanti del potere romano – cade anche il Governo” .

Di sicuro, la normalizzazione del sistema Mafia Capitale voluta da soprattutto da Renzi non ha funzionato, così come il tentativo di gestire la crisi all’interno del partito attraverso figure esterne all’amministrazione come Matteo Orfini o Stefano Esposito, una scelta che di fatto ha messo all’angolo gli alleati di Sel, che dopo aver riflettuto sulla possibilità di uscire dalla maggioranza, proveranno a “giocarsi nei prossimi giorni la possibilità di avere ancora un ruolo politico nella città”. Il secondo filone dell’indagine portato avanti dalla Procura di Pignatone, pur non disegnando scenari nuovi rispetto a dicembre, ha mandato completamente in crisi il sistema politico clientelare (e criminale) legato all’asse Buzzi – Carminati che, spesso in maniera legale, aveva foraggiato negli ultimi anni un’intera classe dirigente all’interno del Pd, senza alcuna distinzione di corrente: dal consigliere municipale più scalcagnato, fino al presidente del consiglio Matteo Renzi. Non è bastata l’estraneità di Marino ai salotti romani, così come la nomina di Sabella (“persona eccellente, ma poco pratica dell’amministrazione”, come frequentemente viene definito dai suoi colleghi), o le ruspe della legalità, (15 sgomberi di insediamenti abusivi solo nelle prime due settimane di maggio a fronte dei 14 totali in tutto il 2014). Allo stesso modo ancora non hanno ancora prodotto risultati i Luoghi Ideali di Fabrizio Barca, che prenderanno vita solo alla fine di giugno.

Il peso delle inchieste in corso e quella parola “Mafia” ormai associata alla città eterna pesano sempre di più come un macigno, con il risultato che i Cinque Stelle capitolini, dati per morti fino a qualche mese fa, ora sognano in grande. Certo, molto hanno contato gli ultimi arresti, quelli di Tassone, Coratti, Ozzimo, Pedetti e Caprari. Così come in Regione Lazio hanno fatto notizia, più dell’arresto del capogruppo Pdl Luca Gramazio, le dimissioni del capogruppo Pd Marco Vincenzi, fedelissimo di Zingaretti, il quale già a marzo aveva visto dimettersi anche il suo capo gabinetto Maurizio Venafro, storico collaboratore di Rutelli, indagato per turbativa d’asta nell’ambito della gara d’appalto per i Cup. In Regione Lazio si minimizza la sua posizione “da sempre nelle commissioni viene accolta un’indicazione proveniente dall’opposizione, come si fa nei Cda delle municipalizzate dove 3/5 dei posti sono riservati alla maggioranza, e le restanti parti ai tecnici e alla minoranza”.  Al contrario la foto che ritrae Buzzi mentre colloquia furtivamente con  Vincenzi, è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno,  che ha spento, per ora, le ambizioni di gloria nazionali di Zingaretti, impotente anche lui di fronte alla deriva presa dal suo partito, che di sicuro non potrà essere fermata dall’ennesimo “protocollo per la legalità”, proposto da lui nel consiglio regionale di due giorni fa.

Ad approfittare di questo vuoto politico è soprattutto Franco Gabrielli, il nuovo prefetto della città, insediatosi da soli due mesi, ma già “pericolosamente” a suo agio nel ruolo di protagonista assoluto nella costruzione della metropoli globale che le prossime scadenze (il Giubileo e le possibili Olimpiadi), ma soprattutto le inchieste in corso, rischiano di consegnare agli abitanti di Roma. Una città sempre più estranea al proprio tessuto sociale,  dove le multinazionali e le grandi corporazioni, già alle porte, a poco a poco si approprieranno dell’intera filiera dei servizi pubblici. Dai trasporti, al ciclo dei rifiuti, fino al terzo settore, tenuto in piedi da quel sistema di cooperative sociali, spazzato via dall’indagine sul “Mondo di mezzo”, che aveva caratterizzato quel Modello Roma, costruito negli anni di Rutelli e Veltroni, che per molti all’interno del Pd, anche per lo stesso Orfini, ancora oggi, costituisce un punto di riferimento.

Gabrielli, dal giorno del suo insediamento, ha fatto capire chiaramente che non avrebbe fatto come il suo predecessore. Quando nel 2011, Giuseppe Pecoraro, da commissario dell’emergenza rifiuti, si trovò a gestire le proteste dei comitati contrari alla discarica di San Vittorino li liquidò in malo modo:  “Io non devo ricevere i cittadini, ma le istituzioni”. Al contrario Gabrielli, bypassando in maniera cordiale le istituzioni locali, ha da subito cercato un rapporto privilegiato con i cittadini, dando vita a una vera e propria campagna ispettiva periodica nei municipi per incontrare i comitati di quartiere insieme alle forze dell’ordine, al motto di “io ci metto la faccia”, come solitamente ripete.  Da una parte c’è chi vede nelle sue “gite” la volontà di costruire un rapporto diretto con il territorio nell’ottica di “arginare e prevenire  quella forte stagione di tensioni sociali – come spiega un esponente delle forze dell’ordine – di cui gli episodi di Corcolle e Tor Sapienza non sono stati che un semplice antipasto”. Anche perché – aggiunge un amministratore cittadino – “nonostante la crisi profonda in cui versa la città, dal governo centrale di fatto non è arrivata alcuna proposta o risorsa economica per risolvere i problemi più urgenti come l’emergenza casa o i nomadi”.

D’altra però, c’è chi sottolinea come le ambizioni dell’ex responsabile della Protezione Civile,  che tocca con mano ogni giorno il malcontento verso la politica, crescano sempre di più, soprattutto nell’ottica di una futura candidatura, secondo un modello già sperimentato in altre città (es. Bologna).   Che una tale esposizione lo metta in contrasto con il sindaco Marino, che a differenza sua è praticamente scomparso dalle periferie, è un dato di fatto, anche perché è su di lui che il Governo punterà per la gestione del Giubileo.  Quello che è certo è che a breve, il 15 giugno, Gabrielli riceverà la relazione della commissione sullo stato del comune di Roma, dopo di che avrà 45 giorni per decidere se proporre al Ministro dell’Interno lo scioglimento del comune. E se dovesse servire un “traghettatore” già formato,  lui si farà trovare pronto. Per andare dove, nessuno lo sa.

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