Famiglia
Family Day. Battaglia di valori o accanimento ideologico?
Sabato 30 gennaio, si è svolto a Roma, presso il Circo Massimo, il Family Day, la manifestazione organizzata dal Comitato « Difendiamo i nostri figli » – fra i cui membri spiccano il portavoce Massimo Gandolfini e il giornalista Mario Adinolfi – per opporsi duramente al ddl Cirinnà sulle unioni civili. Si tratta della risposta del fronte cattolico giunta dopo appena una settimana dall’evento #Svegliatitalia, che ha visto radunarsi sabato 23 gennaio, attorno a 90 piazze in tutta Italia (e anche alcune città in Europa), i tanti sostenitori della proposta di legge.
L’attesa “battaglia dei numeri”, com’era prevedibile, non si è fatta attendere quando, intorno alle 13:30, gli organizzatori del Family Day divulgavano come primo bilancio un milione di partecipanti, fino ad arrivare, intorno alle 15:00, alla più azzardata previsione di due milioni da parte di Adinolfi. Un vero miracolo, verrebbe da pensare, se nel giro di due ore il numero dei partecipanti si è raddoppiato. La verità è che questi numeri stridono con l’evidente e oggettiva capienza del Circo Massimo che può contenere fino ad un massimo di 300/350 mila persone, considerando anche il fatto che l’intera città di Roma conta 2,8 milioni di abitanti.
Ma aldilà delle cifre, che in fondo rimangono del tutto opinabili, la massiccia affluenza ha dimostrato, ancora una volta, il desiderio forte da parte della popolazione di scendere a manifestare attivamente nelle piazze, e non solo in quelle virtuali, soprattutto quando si tratta di temi particolarmente sensibili. Tuttavia, alla conclusione del Family Day, sono emerse chiare le numerose differenze abissali che hanno caratterizzato i due eventi più caldi della settimana.
Alla base della manifestazione a favore del ddl Cirinnà c’era da parte dei partecipanti la percezione di un’opportunità, forse unica, di sostenere un provvedimento che potrebbe finalmente colmare dopo anni un vuoto legislativo enorme. Più volte è stato sostenuto dall’onorevole Cirinnà che il provvedimento mira a riconoscere giuridicamente situazioni di fatto esistenti da tempo, tramite l’estensione di diritti alle coppie omosessuali. La chiave di volta del disegno sta proprio nell’allargamento della base dei diritti civili e non in una sottrazione degli stessi a chi ne gode già pienamente. “Quando un paese diventa migliore dal punto di vita dei diritti e dell’inclusione, nessuno ci perde”. Così aveva tuonato una settimana fa l’on. Cirinnà dal palco di piazza della Rotonda (Pantheon) a Roma per ricordare a tutti, ancora una volta, che l’approvazione di questa legge non danneggerebbe in alcun modo tutti coloro che già godono di quei diritti (per molti scontati), rivendicati da chi, invece, si sente discriminato dallo Stato e dalla società.
Pare invece che ciò che abbia spinto gli organizzatori del Family Day a scendere in piazza sia stata la minaccia che tale ddl rappresenta al concetto di “famiglia tradizionale” ma ancor più la possibilità di ricorrere all’utero in affitto, tema più volte evocato durante la manifestazione (sebbene non rientri nel disegno di legge). Mario Adinolfi ha usato toni forti quando, acclamato dalla folla, dal palco ha dichiarato che “il ddl Cirinnà vuole attaccare il cartellino del prezzo al ventre delle madri; rendendo la maternità un bene commerciabile”. Gandolfini gli ha fatto eco sostenendo che “le femministe dovrebbero vomitare all’idea che si possa comprare l’utero in affitto”. Fino ad arrivare ad esponenti politici di opposizione come l’on. Giorgia Meloni, che dopo aver annunciato la sua futura maternità si è dichiarata “sempre più convinta che si tratti di un ddl contro i bambini” e l’on. Daniela Santanché secondo cui “al Family Day partecipa la parte sana dell’Italia, quella che non crede che il futuro si chiami utero in affitto e figli surrogati”.
Che la disposizione sulla “stepchild adoption” costituisse il vero motivo di scontro fra le due fazioni era facilmente prevedibile, trattandosi di un tema sicuramente delicato benché il dispositivo si limiti a riconoscere giuridicamente situazioni di fatto. Ma da qui a manipolare addirittura la realtà attraverso becere strumentalizzazioni di un provvedimento che nulla ha a che vedere con l’utero in affitto, è sembrato a molti eccessivo. L’impressione è stata quasi che gli speakers abbiano voluto spostare l’attenzione dal cuore centrale del disegno di legge, ovvero l’equiparazione delle unioni civili fra coppie eterosessuali ed omosessuali (considerandolo, forse, come l’argomento più debole su cui attaccarsi) all’inesistente ipotesi che la legge favorisca la commercializzazione dell’utero.
In questo clima di accesso dibattitto perenne, che ha caratterizzato l’opinione pubblica nelle ultime settimane, fa piacere, per certi versi, assistere alla battaglia di valori di due fazioni che lottano e credono in due idee diametralmente opposte, mettondoci “faccia e cuore”. Così come straordinaria, aldilà del valzer dei numeri, è stata la mobilitazione in entrambe le manifestazioni, segno da parte dei cittadini di una grande sensibilità e voglia di partecipare al dibattito pubblico.
Tuttavia, è auspicabile che lo scontro ideologico avvenga attorno ad un terreno comune, in questo caso una proposta di legge, limitandosi alle reali disposizioni che il provvedimento contiene, senza evocare inutili dispositivi inesistenti. Perché altrimenti si corre il rischio che lo scontro ideologico si inasprisca fino a mutarsi in accanimento ideologico.
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