Roma

Embè, che ce frega di roma?

8 Dicembre 2014

Le domande che ciascuno romano dovrebbe porsi

Roma è una città particolare,  dove tutto può accadere e dove la storia si costruisce e si sovrappone ogni giorno: è la città capace di affrontare scandali, ruberie e calamità con la stessa indifferenza, un po’ stanca e disillusa che assurge alla risposta tipica DOC “embè?”.

Chi non è abituato a vivere a Roma soffre, non poco, di questa attitudine a smontare e demolire ogni livello di indignazione e di responsabilità civica: sembra un modo di vivere ma qui, più che altrove, diventa filosofia, utile per sopportare ma, soprattutto, per disconoscere una necessità di coscienza collettiva, propria dell’idea stessa di comunità.

Perché è vero che la corruzione e la contiguità con poteri criminali esiste, ramificata ed estesa, ma è pur vero che, sempre più, si avverte l’assenza di una capacità di andare oltre alla lamentela, accettando, da parte di ciascun cittadino, quale è la responsabilità individuale che permette che una città sia aggredita da ladri e ciarlatani, da una classe dirigente spregiudicata.

L’indolenza si trasforma in accordo tacito, in scambio perverso tra chi non amministra correttamente e il cittadino che coglie quest’assenza di regole come la scappatoia per vivere in modo precario, sfuggendo a obblighi e vincoli che dovrebbero essere normali e che a Roma diventano eccezionali, opzionali e volontari.

Quanti sono i romani che non fanno correttamente la raccolta differenziata dei rifiuti? Il tema è dibattuto e il cassonetto, sempre stracolmo di ogni genere di oggetti diventa l’alibi per fregarsene, affermando il diritto a tramandare la leggenda per cui è inutile fare la differenziata perché, tanto, poi, finisce tutto in discarica. La discarica come metafora: infatti Roma, tra le mille attrattive ha potuto vantare la discarica a cielo aperto più grande d’Europa, a Malagrotta. Ecco quindi la facilità con la quale si trovano sui marciapiedi frigoriferi, armadi, poltrone, calcinacci e materassi: butto i rifiuti come mi pare, tanto pago la TARI e sarà un problema dell’AMA e del Sindaco garantire che le strade siano pulite.

Peccato che poi quegli stessi rifiuti diventino l’occasione per alimentare un mercato parallelo, nero e sfruttato, molto inquinante e causa del degrado di certe periferie: i raccoglitori di rifiuti, i rovistatori dei cassonetti, sono la manovalanza di un traffico illegale che produce roghi, fumi tossici e distruzione dell’ambiente. Spesso questa è una delle attività prevalenti che ruotano attorno ai campi rom (gli stessi che sono oggetto dell’inchiesta MafiaCapitale) dove si realizza una vera filiera del riciclaggio, con metodi preindustriali ma in grado di generare ricavi consistenti per chi gestisce il traffico.

Quanti sono i romani che non parcheggiano regolarmente? Quanti preferiscono servirsi del parcheggiatore abusivo? Sembra impossibile farne a meno, in certi casi, ma l’idea di evitare la scocciatura di pagare la sosta tariffata o fare qualche passo in più per usare un parcheggio di scambio fa sì che la città affondi nel caos, con auto in seconda fila, sugli incroci e sulle strisce come se non esistesse il diritto a camminare a piedi. Certo poi tutti a lamentarsi del traffico, dell’inefficienza del trasporto pubblico, dell’inquinamento atmosferico e dei divieti che paralizzano la città ma sono ben pochi coloro che accettano di condividere una responsabilità collettiva.

Quanti sono coloro che usano i mezzi pubblici pagando regolarmente il biglietto? L’evasione del biglietto per il trasporto pubblico è un altro di quei casi buoni per farne un oggetto di studio: non pago il biglietto perché non si trovano i biglietti, perché l’autobus è sempre pieno, perché tanto l’ATAC è un carrozzone, pieno di fannulloni che addirittura avevano escogitato un sistema per stampare biglietti falsi e guadagnarci sopra.

Si potrebbero trovare tante altre situazioni per descrivere una città che gradualmente ha accettato, di buon grado, l’idea che a una classe dirigente squalificata potesse corrispondere una cittadinanza attenuata, con minor rispetto per il bene comune e per la collettività.

Da qualche parte c’è scritto che una città è tale se esistono delle regole condivise che costituiscono il capitale sociale che fa sì che quella comunità prosperi sulla base di un rapporto di collaborazione: d’altronde lo sviluppo delle città, dal Medioevo in poi, lo si ebbe proprio nel diffondersi di pratiche civiche dedicate allo smaltimento dei rifiuti, alla costruzione di reti fognarie, alla difesa della città e dalla crescita del potere commerciale.

A Roma è come se tutto ciò fosse stato messo da parte, innescando uno scambio perverso tra diritti e doveri, inserendo la variabile del favore e della concessione, talvolta sulla base di una tolleranza implicita, altre volte accettando il compromesso tra regole e illegalità: la politica sporca ha acquistato terreno, praticando il mercato di favori piuttosto che la capacità di investire nella città perché aumentasse il benessere e la forza della comunità nel suo insieme. Una classe dirigente incapace e inadeguata,  spesso inqualificabile, priva di competenze e preparazione, scelta con il meccanismo, vile e umiliante, della cooptazione.

È inutile e dannoso stupirsi per quanto sta accadendo a Roma: il disegno criminale di chi ha pensato che fosse facile fare soldi sfruttando la tragedia dei campi rom è l’emblema di una mente degna di chi progettò il genocidio nazista. Usare l’afflusso di migranti per produrre degrado ed emergenza, dove intercettare soldi e manovalanza, lasciando migliaia di persone in uno stato di povertà e miseria, nel fango e nelle baracche, equivale a speculare sul dolore e sul degrado, una cosa inaccettabile nell’Europa del 2014.

Da un lato cittadini che girano la faccia dall’altra parte, fingendo di non capire, dall’altro amministratori colpevoli, nella maggior parte, di non svolgere quel compito di controllo e di vigilanza che è alla base del mandato politico democratico: ma non sono solo i grandi giri di soldi e business ma un intero circuito fatto di illegalità, piccole evasioni e violazioni delle regole.

Ognuno ha fatto la sua parte, tollerando e consentendo che la città diventasse un mondo di mezzo, dove conta più il favore elargito o la regola violata. Il valore della convivenza e dello spazio comune è stato demolito, offrendo, in cambio, l’idea che tutto dovesse essere mediato, in una sorta di privatizzazione implicita, dove contano le conoscenze e l’adesione a un circuito.

Chi resta fuori da tutto ciò è destinato a far parte del mondo di sotto, dove i diritti sono più labili, oggetto di scambio e di impoverimento collettivo.

Per uscire da questa situazione bisognerebbe ricominciare dalle cose normali come gettare i rifiuti in modo corretto, prendere l’autobus e pagare il parcheggio: protestando se l’AMA non svuota il cassonetto o se la metro è troppo affollata. Protestando per ottenere efficienza e trasparenza da parte di chi governa e amministra la città.

A parole sembra complicato ma in realtà non lo è: bisogna credere che Roma sia una città come le altre, non un mondo di mezzo.

 

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