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Elogio di Spelacchio o della virtù dell’inadeguatezza
Ammettiamolo! Chi non si è mai sentito almeno una volta nella vita nel posto sbagliato al momento sbagliato?
Ci sono mattine in cui davvero anche lo specchio ha un rigurgito di rifiuto per la nostra immagine riflessa, che proprio non ci si sopporta, che non riusciamo manco a tollerare la nostra stessa vista.
Il caso spesso vuole però che proprio in quelle giornate la percezione di noi stessi non coincida con quella che gli altri hanno di noi.
Ed è stato così anche per il compianto Spelacchio, che proprio quando stava toccando l’apice della sua mestizia e nel contempo il punto più basso della sua parabola terrena, assurgeva improvvisamente a nuova vita, dopo settimane di gogna mediatica che, come dire, “Asia Argento spostati”!
Il povero abete rosso trasportato a forza dalla Val di Fiemme a Piazza Venezia senza tanti complimenti e piantato lì da qualche operaio annoiato con l’ingrato compito di raddrizzare le sorti di Roma almeno per le feste, non ce l’ha fatta. La stessa amministrazione comunale ne ha dichiarato imbarazzata l’avvenuto decesso.
Attaccato fin da subito per il suo costo (come se i 48 000 euro li avesse pretesi e se li fosse intascato lui), identificato subito come albero a 5 stelle ( o 5 palle) e quindi complottista e per sua natura maldisposto verso tutto e tutti, in verità il mite e stempiato alberello è via via diventato un piccolo fenomeno sociale riuscendo a trasformare le ingiurie dei primi giorni in attestati di affetto e stima.
Anche lo stesso nome che il web gli ha prontamente affibbiato con intenti chiaramente offensivi, si è inesorabilmente trasformato in un nomignolo affettuoso: dallo schiaffo al buffetto in un men che non si dica, magie dei social si dirà, o forse solo un sano processo di immedesimazione, che in un epoca di arroganze digitali e smargiassate da tastiera, non può che far bene al cuore.
La sua dipartita terrena poi ha coronato un processo di riabilitazione che ci porta a dire che Spelacchio ci mancherà, perché agli sfigati si vuol sempre bene, in quanto summa delle percentuali di sfiga che ognuno di noi si trascina dietro assieme al suo fardello esistenziale e che tende in ogni modo ad occultare, finché arriva una di quelle mattine di cui sopra è si è definitivamente spacciati.
Per Spelacchio, asfissiato dal traffico, umiliato da turisti/ selfisti di ogni nazionalità, rinnegato dai suoi stessi acquirenti con la solita frase di circostanza:” quando l’abbiamo comprato non era cosi.”, tutte le mattine sono state come quelle nostre mattine in transito faticoso dalla cucina al bagno e, senza l’aiuto di alcuno, ha portato la croce di un destino che non si era scelto, con grande dignità.
Essere inadeguati non è una colpa. Trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato succede, come capita di essere più o meno brutti. L’ importante è ricordarsi che i drammi, quelli veri, sono altri.
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