Roma

Ecco come è nata la Marra e Associati che guidava la giunta Raggi

3 Febbraio 2017

Apparentemente le storie di Raffaele Marra, Salvatore Romeo e Virginia Raggi, protagonisti degli ultimi mesi delle cronache romane, sembrano distanti anni luce. Eppure dietro i rispettivi percorsi professionali, lontani fra loro, si ripetono coincidenze che meritano più di un approfondimento. Una girandola di nomi e frequentazioni che porta dritto in un’unica direzione: quella dei salotti della destra romana, capace di rigenerarsi sotto l’ombra dei 5 Stelle.

Partiamo da Marra. L’ex finanziere inizia la sua scalata “politica” nel 2006 quando il vescovo Giovanni D’Ercole lo mette in contatto con Gianni Alemanno, ministro dell’agricoltura. Marra si ritrova nella segreteria del ministro, ma il suo sogno è quello di entrare nei servizi segreti e parzialmente viene accontentato. Approda, infatti, alla “piccola Finmeccanica di destra”, come viene definita negli ambienti che contano l’Unire (Unione Nazionale Incremento Razze Equine), un ente che dipende sempre dal ministero di Alemanno ed è guidato dal potentissimo Franco Panzironi. Panzironi è un vecchio democristiano che, dopo la scissione della Democrazia Cristiana anni 90, ha intuito da che parte stare. E la sua carriera cresce insieme a quella di Gianni Alemanno, che quando diventa sindaco lo mette a capo di una delle municipalizzate più importanti di Roma, l’Ama.

Marra nel frattempo diventa dirigente e nel 2008 si ritrova in Campidoglio, grazie ad Alemanno, a capo del dipartimento Patrimonio. I rapporti con l’assessore Antoniozzi non sono dei migliori, anche perché Marra prende di mira alcune coop sociali  potentissime, poi coinvolte in Mafia Capitale, che fanno riferimento ad gruppo di potere del Vaticano diverso dal suo. La cosa infastidisce le alte sfere del clero e Alemanno, sotto pressione, è costretto ad allontanarlo dal comune. Ma solo per qualche anno.

 Virginia Raggi, intanto, non è ancora consigliere comunale, ma uno dei tanti giovani avvocati che affollano la città. Ha svolto il tirocinio presso lo studio Previti e lavora nello studio Sammarco, la cui vicinanza alla destra romana è cosa nota.  Tanto che la Raggi fra il 2008 e il 2009 si ritrova ad essere presidente di una società, la Hgr, insieme a Gloria Rojo, cliente dello studio e collaboratrice storica di Franco Panzironi, che nel 2011, dopo lo scandalo Parentopoli sarà costretto a dimettersi dall’Ama, ma rimarrà comunque vicino al sindaco, attraverso quella “Fondazione Nuova Italia” con cui Salvatore Buzzi finanziava la sua attività politica.

Salvatore Romeo, invece, è un semplice funzionario capitolino in forza al dipartimento delle partecipate. Ed è qui forse che conosce Raffaele Marra, che l’8 maggio 2013 diviene direttore della struttura amministrativa. Iscritto al Movimento 5 Stelle, Romeo non è propriamente un uomo di potere, tutt’altro. Ma il suo ruolo lo porta a contatto con quel mondo, anche perché più di una volta, come lui stesso ha ammesso durante l’udienza del processo Mafia Capitale dello scorso 24 gennaio, si ritrova a rappresentare il comune di Roma nelle assemblee dell’Ama. “Normalmente il sindaco non partecipa e all’interno del dipartimento viene trovata una persona che possa andare in assemblea. E’ una prassi ordinaria”, dice, motivando la delega del sindaco Alemanno, con cui aveva partecipato all’assemblea dell’8 maggio 2013. Con Alemanno, Romeo assicura – ma gli inquirenti non ne sono pienamente convinti –  di aver parlato una sola volta per 30 secondi, durante una riunione di giunta. Mentre con Franco Panzironi ammette una conoscenza più stretta.

Il resto è storia recente. Alemanno e Panzironi rimangono coinvolti nell’inchiesta Mafia Capitale. Mentre i tre, dopo la vittoria del Movimento 5 Stelle, si ritrovano insieme nella cabina di comando del Campidoglio. La Raggi, già prima del suo insediamento, ha in mente la sua squadra, quella composta dai “4 amici al bar”: Daniele Frongia capo di gabinetto, Marra, vice capo gabinetto e Romeo, a capo della segreteria politica. Il piano, però, dura solo pochi giorni. L’incarico di Frongia viene revocato, ma Marra riesce a rimanere al suo posto, così come Romeo, che dopo essersi messo in aspettativa viene riassunto sempre dal comune di Roma con un compenso triplicato da 39 mila euro a 110 mila euro. Almeno fino al giorno dell’arresto di Marra, che rimette tutto in discussione.

Marra si ritrova in carcere, per le mazzette che avrebbe ricevuto dal costruttore Scarpellini. Romeo, a testa bassa, lascia il suo incarico e torna a fare il funzionario. Per la nomina del fratello di Marra a capo del dipartimento turismo, invece, la Raggi finisce per essere indagata per abuso d’ufficio e falso. Viene convocata dai pm, dove scopre che Romeo nel gennaio 2016 ha stipulato in suo favore una polizza da 30mila euro. Lei si dichiara all’oscuro della cosa, “sono sconvolta”, ma, anche accettando la sua buona fede, troppi continuano ad essere i punti oscuri in questa storia, in cui le ombre del passato si mescolano continuamente a quelle del presente, senza che sia possibile rispondere alla domanda più importante: chi ha veramente governato Roma in questi ultimi sette mesi?

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