Roma
Dopo il no alle Olimpiadi la Raggi dirà no anche allo Stadio della Roma?
Stadio sì, stadio no. Sull’impianto sportivo di Pallotta il Movimento 5 Stelle appare palesemente spaccato, con il fronte del no guidato dall’Assessore all’Urbanistica, Paolo Berdini, che oggi sembra prevalere sugli altri. Virginia Raggi prende tempo chiedendo un rinvio di 30 giorni in Conferenza dei Servizi. Per motivare la decisione si muove tra le pieghe della burocrazia con un’abilità che riporta la memoria alla Prima Repubblica: lo schema di convenzione urbanistica – documento che regola il rapporto tra il proponente e il Comune, compresi i tempi di realizzazione delle opere – andrebbe ulteriormente esaminato.
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In realtà i grillini sono spaccati e non trovano un accordo sulla variante urbanistica necessaria per far partire l’opera e a ciò si aggiunge l’attesa per l’interrogatorio della stessa Raggi, indagata per falso e abuso d’ufficio per le vicende legate ai fratelli Marra. L’appuntamento con gli inquirenti, ha ulteriormente rallentato la già pachidermica azione amministrativa del Movimento 5 Stelle, che solo ieri brindava all’approvazione del bilancio avvenuta dopo la clamorosa bocciatura di dicembre da parte dell’Oref. Un atto di ordinaria amministrazione elevato a grande risultato politico, ma di questi tempi a Roma ci si accontenta di poco.
Ma torniamo allo stadio della Roma. Ad agitare le acque, oltre alla richiesta di rinvio del Comune, c’è una lettera firmata da Anna Maria Graziano e Fabio Pacciani, dirigente e ingegnere del dipartimento Urbanistica del Comune, spedita ieri alle Regione Lazio e all’Autorità di bacino del Tevere, che esclude qualsiasi variante urbanistica “comportante aumento del carico antropico” sull’area di Tor Di Valle, considerata a rischio esondazione. Una mossa di Berdini che intervistato da Repubblica non esclude uno “stop totale” dell’opera.
L’idea di bocciare lo stadio della Roma è dunque più di un’ipotesi, come lascia intendere il deputato Pd, Marco Miccoli, che attacca: «Tutto sembra preludere al definitivo accantonamento del progetto; si gettano così a mare decine di migliaia di posti di lavoro, opere pubbliche che servono al territorio e un progetto che innalzerebbe la visibilità della nostra Capitale nel mondo. È una scelta ideologica populista contro Roma e i romani, ogni giorno supportata da nuove scuse. L’ultima è quella sui rischi di esondazione nell’area dell’ippodromo di Tor di Valle, area che da sempre ospita moltitudini di spettatori e che, proprio in ragione delle opere di messa in sicurezza previste dal progetto, vedrebbe scongiurato ogni rischio di questo tipo. Roma si sta spegnendo».
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Vedremo chi la spunterà. Sulla questione il partito del comicoleader Beppe Grillo è diviso almeno in tre fazioni: chi non vuole lo stadio, chi lo vuole ma senza le torri di Liebeskind e chi si dice favorevole con un “ritocco” delle cubature. A decidere – come spesso avviene – sarà probabilmente un freddo calcolo sui consensi: meglio deludere i tifosi o la base ambientalista del Movimento? Alla Casaleggio Associati l’ardua sentenza…
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