Clima

Da Roma Resiliente quattro idee per una città più a misura di clima

15 Aprile 2016

Nel corso del 2015, il gruppo di lavoro di Roma Resiliente – un programma promosso dagli assessorati alla trasformazione urbana e all’ambiente di Roma Capitale – ha coinvolto oltre 300 attori urbani nella identificazione dei fattori di rischio e delle tendenze che mettono oggi alla prova la resilienza della città. Lo scenario che ne è emerso – risultato anche dalla mappatura di centinaia di azioni promosse da diversi attori urbani – è rappresentato in un documento preliminare che potete trovare qui.

Come si può vedere nello stesso documento, fra le molte e diverse sfide di resilienza emerse ci sono quelle relative al cambiamento climatico: i fenomeni associabili al clima ed al suo cambiamento sono stati infatti fra quelli segnalati con maggiore frequenza dagli attori urbani coinvolti. Dalle ondate di calore alle piogge intense, questi fenomeni sono temuti per i loro effetti sugli ecosistemi, sulla funzionalità delle reti e dei servizi ma anche per gli impatti diretti sulla popolazione. E sono temuti da una varietà di stakeholder, anche molto diversi fra loro, quali le sovrintendenze ai beni culturali,  le aziende sanitarie locali e i molti operatori – pubblici e privati – di reti e servizi urbani.

Quindi una prima buona notizia: una parte rilevante di chi ogni giorno fa la città è consapevole della rilevanza degli effetti dei cambiamenti climatici per il suo futuro.  Mentre la cattiva notizia è che questa consapevolezza diffusa non si è ancora tradotta – e in questo Roma certo non è sola – in un’azione  pubblica adeguata (l’unica città italiana di una certa dimensione ad averlo fatto in modo esplicito e organizzato e’ Bologna). La variabile clima – per come è già cambiato e, soprattutto, per come cambierà – non è considerata mella costruzione delle politiche pubbliche e se è considerata lo è sulla base di elementi di conoscenza statici – ovvero sulla conoscenza del clima di ieri e di ora, e non di quello di domani – e attraverso azioni che, nella gran parte dei casi, appaiono molto tradizionali e quindi talvolta addirittura controproducenti.

Purtroppo il programma si è arenato prima che il gruppo di lavoro potesse passare alla fase di formulazione delle proposte di azione – da realizzarsi attraverso un processo di co-creazione con gli attori urbani interessati – relative alla cinque aree prioritarie individuate.  Tuttavia, sulla sfida del cambiamento climatico come su altre sfide, sono state avviate alcune promettenti conversazioni con diversi attori che, in presenza di una volontà politica credibile, potrebbero essere  trasformate in concrete proposte di azione. In questo post ne richiamo alcune.

Primo passo: nuove basi di conoscenza per le decisioni pubbliche, istituiamo un panel permanente sul cambiamento climatico a Roma

Prima di tutto gli elementi di conoscenza, senza i quali è pressoché impossibile generare azione pubblica di qualità. In anni recenti, alcune istituzioni romane hanno già portato avanti meritorie attività di ricerca: si pensi ad esempio al lavoro del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio da una parte e di un gruppo di ricerca dell’ Università di Roma Tre dedicati alla valutazione dei mutevoli livelli di vulnerabilità morfologica, sociale e demografica dei diversi territori della città ai fenomeni legati al cambiamento climatico. E anche l’amministrazione capitolina ha compiuto un primo passo quando, nel 2015, l’Assessorato all’Ambiente ha istituito l’Osservatorio dei cambiamenti climatici.

Ora occorre quindi fare leva su quanto già esiste per costruire una solida e durevole capacità di produrre basi di conoscenza che impegni attori pubblici e privati a condividere una strategia di azione per i decenni a venire. Per fare questo ci vuole un partenariato – e perché non iniziare dalle istituzioni scientifiche nazionali e le università che hanno sede a Roma? – e senza dubbio delle risorse finanziarie (comunque limitate, trattandosi di attività di ricerca) che fino ad ora sono mancate.  Le risorse potrebbero essere individuate nel POR 2014-2020 della Regione Lazio – che ha diverse assi di programmazione di ripensa climatica – oppure fra le risorse che dovrebbero discendere dall’approvazione della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici coordinata dal Ministero dell’Ambiente.

Queste risorse servirebbero a istituire, sulla base di quanto realizzato in altre città, un comitato permanente che abbia come primo obiettivo la produzione di quello che in gergo si definisce downscaling, vale a dire la costruzione di un profilo climatico locale – alla scala metropolitana – che restituisca i diversi profili di esposizione e vulnerabilita’ della città nel suo complesso ai cambiamenti attesi nei prossimi decenni. Una volta prodotto il profilo climatico locale, il panel potrebbe assumere funzioni di coordinamento delle attività di monitoraggio e di informazione dell’opinione pubblica riguardo gli effetti delle azioni di resilienza climatica intraprese dall’amministrazione e da altri attori urbani.

Secondo passo: passare dal grigio al verde e dalla mera difesa alla ricerca di benefici collettivi multipli
Roma non è Genova, tuttavia è molto chiaro come precipitazioni particolarmente intense – e talvolta anche quelle non intense – rappresentino una fonte di stress per la città. La costruzione di un profilo climatico locale ci aiuterebbe a capire quanto è probabile che nei prossimi anni questi eventi aumentino di frequenza e di intensità. Tuttavia il problema è già noto oggi, e gli eventi del 31 Gennaio del 2014 stanno lì a ricordarcelo.

Anche su questo aspetto, il livello delle conoscenze disponibili ha fatto progressi: dal 2013, anche nel nell’ambito della revisione della pianificazione del bacino del Tevere nel suo tratto metropolitano coordinate dagli Assessorato alla Trasformazione Urbana e dell’Ambiente, un gruppo di funzionari dei due dipartimenti ha approfondito e aggiornato il livello di conoscenza dei rischi idraulici e dei relativi profili di vulnerabilita’ territoriale pubblicando tra l’altro la nuova carta idrogeologica di Roma (e anche in questo caso la costruzione di un profilo climatico locale permetterebbe di migliorare la produttività pubblica di queste conoscenze): si va del pericolo di esondazione vero e proprio del bacino idrografico principale – Tevere ed Aniene – a quello relativo alle aree di bonifica – il caso dei territori del decimo municipio – fino al pericolo diffuso e puntuale degli allagamenti urbani che colpisco aree e infrastrutture di uso pubblico, come nel caso di stazioni della metropolitana e sottopassi.

Qui mi limito a questo ultimo aspetto, per il quale la risposta delle amministrazioni pubbliche e’ ancora di vecchia concezione – progetti con molto cemento, molto costosi da realizzare e costosissimi da manutenere, nessun beneficio ambientale e urbano – come di vecchia concezione sono spesso le modalita’ di costruzione della città ordinaria: quella fatta di strade, piazze e stazioni del trasporto pubblico (basti vedere come sono state realizzate superfici e aree parcheggio della linea c della metropolitana). Diversamente in molte città europee  – e questa è anche la posizione della Commissione Europea  – il cambiamento climatico è trattato come un’opportunità preziosa per passare da un approccio grigio e mono-funzionale a un approccio verde e multi-funzionale alla progettazione di spazi pubblici e infrastrutture. L’idea di fondo è che l’acqua piovana non vada necessariamente irregimentata – attraverso infrastrutture, per l’appunto, grigie – ma che viceversa possa essere almeno in parte reimmessa nelle componenti naturali del metabolismo urbano rendendo i suoli più permeabili. I benefici di questo approccio sono diversi: dalla maggiore sostenibilità ambientale – che peraltro può anche risultare dalla conservazione dell’acqua per usi compatibili, si pensi ad agricoltura e verde domestico – alla riscoperta delle acque come opportunità di ricreazione fino ai minori costi sia di realizzaziome sia di manutenzione. In sintesi, un approccio verde vuole che in presenza ad esempio di un’area soggetta ad allagamenti prima di procedere alla costruzione di un’opera che serva a smaltire l’acqua nel sistema fognario si valutino tutte le possibilità per permettere all’acqua di essere assorbita dal terreno naturalmente (qui qualche esempio, fra i quali le waterplaza di Rotterdam).

E su questo che Roma deve fare dei passi in avanti e farli il prima possibile. Il come realizzare a Roma questa transizione dalle infrastrutture grigie alle infrastrutture verdi e’ stata una delle domande poste da Roma Resiliente. Le prime risposte sono arrivate grazie allo sviluppo partenariati con città quali Rotterdam, New Orleans e Copenaghen che, le green infrastructures, le stanno già realizzando. Attraverso diversi incontri internazionali – fra i quali un workshop internazionale tenutosi Roma con la partecipazione di oltre 40 attori locali –  in particolare, si è consolidato un rapporto con la città di Rotterdam con la quale abbiamo definito un progetto volto all’individuazione partecipata per soluzioni verdi per la resilienza climatica in due municipi di Roma.

Da processi di apprendimento locale di quel tipo – cui speriamo la prossima amministrazione sia in grado di dare seguito – poteva scaturire la promozione di un programma sperimentale di progetti pilota di infrastrutture verdi. A Roma abbiamo senza dubbio bisogno di norme più avanzate – dal regolamento edilizio alle modalità di realizzazione delle opere pubbliche – ma abbiamo bisogno soprattutto di progetti innovativi che dimostrino che il cambiamento è possibile. Le opportunità per seperimentare sono tante: si pensi solo alle aree pubbliche abbandonate nelle zone ex-abusive, spesso soggette a problemi idraulici.

Le risorse, potenzialmente, ci sono: sia perché la pur ridotta spesa infrastrutturale del comune può essere riqualificata sostituendo interventi verdi agli interventi tradizionali – questo discorso vale ovviamente anche per le opere realizzate dai privati nelle trasformazioni urbanistiche –  sia perché le risorse messe a disposizione dal por 2014-2020 e della struttura di missione sul rischio idro-geologico alla Presidenza del Consiglio possono essere utilizzati per progetti di questo tipo. Da ultimo, in una città che per un terzo è stata costruita abusivamente, anche le risorse relative al pagamento del danno ambientale e paesaggistico potrebbero essere utilizzate per progetti di questo tipo.

Terzo passo: gestire le crisi climatiche  in modo intelligente e interattivo, riducendone i costi sociali
L’altro tema emergente è la gestione degli impatti delle crisi climatiche (temporale intenso, nevicata, siccità) sulla funzionalità di servizi fondamentali. Da questo punto di vista, la via maestra per costruire una città più resiliente risiede nel trasformare profondamente le modalità di produzione e distribuzione  di risorse e servizi fondamentali in direzione di un maggiore decentramento. Limitandoci all’energia, per rendere Roma più resiliente dobbiamo accelerare la transizione energetica in direzione di una rete più distribuita e quindi piu’ democratica, transizione resa oggi possibile dalla diffusione del fotovoltaico e altre modalità sostenibili: la costruzione di un nuovo, più efficace e inclusivo PAES (Piano di Azione per l’Energia Sostenibile) rappresenta da questo punto di vista una assoluta priorità.

L’avvio di questa transizione va comunque accompagnato all’introduzione di modelli avanzati di gestione delle reti per come sono oggi – oltre all’energia, l’acqua, il trasporto pubblico, etc –  nei momenti di crisi climatica. Anche su questo Roma può e deve compiere grandi passi in avanti, a partire dai rapporti bilaterali attivati con alcune città del mondo e nell’ambito del progetto Smart Mature Resilience finanziato dal Programma Horizon 2020 e di cui Roma fa parte dal 2015.

Da questo punto di vista, i primi risultati del progetto R.O.M.A. (Resilience enhancement of metropolitan areas) promosso da Enea sono molto promettenti. Sono in via di sperimentazione un sistema di cosiddetto nowcasting, che permette la condivisione di informazioni aggiornate e di qualità sull’evoluzione del tempo fra chi deve assumere importanti decisioni pubbliche e dei modelli avanzati di valutazione  degli effetti  delle crisi climatiche sulle diverse componenti di reti e servizi. Questi modelli permettono di valutare quali sono i nodi (per esempio una centralina elettrica) da cui dipende la funzionalità  di un’intera rete: si tratta di informazioni fondamentali per compiere, ad esempio, scelte di investimento davvero resilienti.

L’integrazione e l’arricchimento delle basi dati disponibili sono da questo punto di vista fondamentali (e a Roma il potenziale è immenso). Come è fondamentale la capacità di costruire una maggiore capacità di co-produzione e condivisione delle informazioni fra gli abitanti e chi ha il compito di assumere le decisioni pubbliche nei momenti di crisi climatica. Nel quadro della loro comune partecipazione a Roma Resiliente, Enea e la protezione civile capitolina hanno firmato un accordo volto alla sperimentazione di quanti sperimentato da Enea.

Quarto passo: fondare un Ufficio Metropolitano per la Sostenibilità e la Resilienza
Tutto questo, e veniamo all’aspetto centrale, ha bisogno di organizzazione. E di organizzazione innovativa e di qualita’, esattamente quella di cui l’amministrazione capitolina oggi manca, in una misura talvolta drammatica. Di un’organizzazione che abbia il compito e le capacità di costruire e diffondere conoscenze, di ingaggiare gli stakeholder urbani, di condividere con loro degli obiettivi strategici e di monitorarne il perseguimento. E soprattutto di mobilitare l’opinione pubblica attorno a una nuova consapevolezza climatica.

Individuare le modalità per costruire questa capacità: questo era lo spirito del rapporto avviato da Roma Resiliente con la città di New York ed in particolare con i protagonisti dell’Office for Long Term Planning, Sustainability and Resilience. L’idea era quella di cogliere l’occasione dell’istituzione dell’area metropolitana per istituire un Ufficio Metropolitano per la Sostenibilità e la Resilienza che costruisse e coordinasse politiche diverse ma fra loro integrate (dalla politica agricola e del cibo a quella per la transizione energetica, da quella per la resilienza climatica a quella per la preservazione delle risorse) e organizzate in una strategia.

Avevamo anche immaginato che una proposta di questo genere potesse avvalersi di opportunità di finanziamento contenute nel nuovo ciclo di programmazione – ed in particolare a valere sul Programma Operativo Nazionale Capacità istituzionale – e soprattutto sul personale qualificato che ora appare disperso fra amministrazione capitolina, metropolitane e anche alcune società pubbliche. E poi, si tratterebbe di una bellissima opportunità per reclutare giovani qualificati che siano chiamati a presidiare le componenti più innovative di queste politiche.

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