Roma
Cupiello per voce sola
È molto divertente il regalo che il Teatro di Roma ha fatto alla città: ci ha dato un argomento di conversazione finalmente appassionante. Di fatto, per quel che riguarda lo spettacolo dal vivo, è da dicembre che parliamo dello stesso tema, ovvero Natale in casa Cupiello. E per i romani, che di solito liquidano cinicamente tutto con una battuta, è un momento quasi epocale. Eduardo de Filippo, probabilmente, se la ride: forse nemmeno con la sua lungimiranza e la sua genialità avrebbe mai pensato che il 2015 capitolino si sarebbe aperto all’insegna di “Te piace o’ presepe”. Anche allo Stabile di Roma, diretto da Antonio Calbi, sorridono giustamente soddisfatti: hanno messo in fila due allestimenti diversi del capolavoro eduardiano e hanno fatto bene. Polemiche, recriminazioni, schieramenti, distinguo, consensi, applausi. Insomma, una scelta che ha ridato vita al pubblico, magari facendolo alzare rumorosamente per andarsene oppure stare felicemente seduto a godersi lo spettacolo. Prima la dirompente versione di Antonio Latella, di cui pure abbiamo scritto, che ha suscitato queste reazioni appassionate, e fior di elucubrazioni intellettuali. Poi l’edizione garbata, sublime, di Fausto Russo Alesi, che ha riscosso un convinto applauso. Scelta radicale, pari per coraggio a Latella, anche quella di Russo Alesi, che ne ha fatto un monologo a più voci: un attore solo a interpretare tutti i personaggi. Inutile contrapporre i due spettacoli, accomunati solo dal titolo: è un bell’esercizio critico metterli a confronto (e infatti già si sono gli schieramenti, tipo abbadiani contro mutiani) e c’è chi l’ha fatto egregiamente; l’unica cosa da salutare, in questo caso, è la enorme possibilità del codice teatrale di attraversare il canone classico, rinverdendolo sempre di nuovo. Latella, con i suoi attori, ha dato una visione; Russo Alesi, nella sua splendida solitudine, ne ha data un’altra. L’attore, in questo allestimento prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, presenta la vicenda, a mo’ di imbonitore d’antan. Poi si insinua in un piano inclinato che invade lo spazio scenico, divenendo lentamente, marionetta di se stesso. Tenendo abilmente le fila di tutta la narrazione, Fausto Russo Alesi si sdoppia, si moltiplica, presta voce e gesti a Luca Cupiello, a Tomassino suo figlio, alla moglie Concetta e a tutti i personaggi dell’affresco corale dipinto da Eduardo. Lo fa con misura e grazia, evoca il precedente storico originale – soprattutto nella voce di Concetta, che rimanda apertamente a quella di Pupella Maggio – entra e esce da ogni singolo ruolo con agilità e semplicità. Russo Alesi connota Tomassino, dandogli smaccate e forse eccessive movenze femminee; libera Luca Cupiello dal paragone con l’interpretazione dello stesso De Filippo, facendone un uomo semplicemente vero; si libra in tempi e ritmi tutti suoi, fatti di accelerazioni e sapienti rallentamenti; usa con intelligenza i pochi elementi scenici, la tazzina di caffè, l’ombrello, il fazzoletto; e arriva al finale cui rende magistralmente straziante drammaticità. La cosa interessante di questo allestimento, è dare il realismo negandolo, ovvero arrivare al naturalismo o al realismo (cose diverse, lo so, ma consentitemi l’accostamento) partendo da una base del tutto astratta o addirittura performativa. Nella impossibilità ormai conclamata di fare Eduardo De Filippo “com’era dov’era” – e il figlio Luca, da grande attore qual è, lo ha capito da tempo: si diano pace i conservatori – sia Fausto Russo Alesi sia Antonio Latella sono approdati a soluzioni che confermano, in modi assolutamente diversi, lo stesso approccio. La narrazione originale nel caso di Latella è aggirata, smontata e riassemblata su piani diversi; qui è affrontata direi dall’interno, con adesione emotiva, ma con quel sottile lavorio di distanza dell’attore che mostra se stesso nel farsi, nel divenire della storia stessa. Grossolanamente , mi piace definire brechtiano, seppur non lo è, il Natale in casa Cupiello di Fausto Russo Alesi: il narratore rende “epica” la materia trattata, proprio tenendo sempre sospeso e irrisolto il confine tra immedesimazione e distanza critica. Il mirabile esito, poi, non assume il carattere di una semplice “variazione”; di una sterile “prova d’attore” (per quanto Russo Alesi confermi le sue grandi doti interpretative); non è un “concerto per voce sola” ma diventa quadro vero e proprio, opera compiuta, appassionato attraversamento della partitura eduardiana che approda esiti ariosi, nuovi, vorrei dire sentimentali, commoventi.
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