Partiti e politici

Con Giachetti finisce il “magna magna”, ma i commensali restano al proprio posto

26 Marzo 2016

L’insistenza con cui Roberto Giachetti si ostina a presentarsi come un candidato di rottura rispetto al passato rischia di trasformarsi in un vero e proprio boomerang per l’ex radicale, che, dal giorno della vittoria delle primarie, ancora non ha ben capito come tarare la sua campagna elettorale. La polemica su Acea, in cui il Pd, nel goffo tentativo di mettere in difficoltà la candidata del M5S Virginia Raggi, ha finito per prendere le parti dell’imprenditore Caltagirone, non è che uno dei tanti incidenti di percorso in agguato, per un partito che a Roma, dopo Mafia Capitale, ha ben poche cartucce da sparare per recuperare almeno il proprio elettorato.

Giachetti questo lo sa, pertanto, punta tutto sulla sua storia fatta di onestà, proteste plateali e diritti civili. L’obiettivo è chiaro: proporsi come un uomo libero, smarcato dalle lobby cittadine e non come l’espressione di un sistema politico che da oltre 20 anni assedia i palazzi del potere romano, con alterne fortune. Tuttavia la frase “quando gli altri mangiavano, io digiunavo”, declamata ad alta voce giovedì scorso di fronte alla platea degli eletti capitolini, pur essendo di forte impatto, si presta a più di qualche interpretazione pruriginosa. Chi sono infatti gli “altri” che si “pappavano” la città mentre lui faceva scioperi della fame?

Giachetti, che siede ininterrottamente in parlamento dal 2001, sempre fra le fila del centrosinistra, questo non lo chiarisce e d’altronde avrebbe più di qualche difficoltà ad entrare nel merito della sua affermazione, che, postata sul suo profilo Facebook, ha scatenato commenti di ogni tipo. Ignazio Marino a parte, sotto accusa per qualche cena mal rendicontata, di sicuro, gli “altri”, a cui fa riferimento Giachetti, non possono essere quelli del Movimento 5 Stelle, i quali mai hanno amministrato la capitale, che, al contrario, dal 1993 al 2015, escludendo la parentesi dei 5 anni di Alemanno, è stata sempre governata dallo stesso gruppo di potere di centrosinistra, sia con Rutelli, di cui Giachetti era capo di gabinetto, che con Veltroni.

Molti dei protagonisti di quelle stagioni, così come i reduci del Pd della giunta regionale targata Polverini, finita a tarallucci e casse di vino per i rimborsi sospetti, siedono quasi tutti, come Giachetti, in parlamento o in Europa e lo sostengono convintamente in questa corsa al Campidoglio. Anche chi, seppur non indagato, ha mostrato più di qualche contiguità con il sistema di potere emerso con l’inchiesta della procura denominata Mafia Capitale. Per questo, nonostante le buone intenzioni, i dubbi permangono. Perché sarà pure finito il “magna magna”, come assicura Giachetti, ma i commensali stazionano sempre al loro posto. La speranza, per lui, ma soprattutto per Roma, è che il caffè sia già stato servito. E pagato.

Il digiuno di giachetti

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