Musica
Comincia oggi il Roma Jazz Festival, ne abbiamo parlato con Mario Ciampà
Comincia oggi il Roma Jazz Festival. ‘No borders. Migration and integration’ è l’attualissimo titolo di questa edizione. Un programma pensato per indagare come oggi la musica jazz, nelle sue ampie articolazioni geografiche e stilistiche, rifletta una irresistibile spinta a combattere vecchie e nuove forme di esclusione. Nato come risultato/reazione/sintesi di fenomeni drammatici, come la tratta degli schiavi africani nelle Americhe e le conseguenti discriminazioni razziali, il jazz è un linguaggio universale, uno straordinario serbatoio di risposte creative alle domande e alle tensioni continuamente suscitate da tematiche come confini, migrazioni e integrazione, la cui sempre crescente presenza nel dibattito pubblico ci obbliga a riflettere e a prendere posizione. Fra l’affermazione di una nuova generazione di musiciste che rompono le discriminazioni di genere, le sperimentazioni di inedite ibridazioni dei linguaggi e la riflessione sul dramma delle nuove migrazioni, il messaggio del Roma Jazz Festival 2019 è che possiamo comprendere il concetto di confine solo se accettiamo anche la necessità del suo attraversamento. Il Festival si terrà dal 1° novembre al 1° dicembre 2019, animerà la Capitale con 23 concerti fra l’Auditorium Parco della Musica, la Casa del Jazz, il Monk e l’Alcazar. Il Roma Jazz Festival 2019 è realizzato con il contributo del MIBAC – Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed è prodotto da IMF Foundation in co-realizzazione con Fondazione Musica per Roma. Sul significato della musica jazz e di questa edizione del Roma Jazz Festival abbiamo intervistato il direttore della manifestazione Mario Ciampà.
La 43esima edizione del Roma Jazz Festival arriva al cuore delle origini di questo tipo di espressione artistica e di musica. Fonti orali riportano che la musica jazz sia nata negli Stati Uniti a opera di africani deportati e schiavizzati che cantavano per alleggerire il lavoro. Quindi, mai come adesso è di attualità tornare a parlare di jazz e questa edizione del Roma Jazz Festival lo fa mettendo al centro un tema che non è solo musicale, ma prima di tutto umano e generazionale: ‘No borders. Migration and integration’. Quanto hanno fatto bene le contaminazione alla musica jazz e, più in generale, al mondo in cui viviamo?
Le origini della musica jazz in effetti sono incerte e molte volte si confondono con la nascita del blues. In realtà, agli inizi del novecento oltre alla popolazione nera schiavizzata nelle piantagioni vi era una comunità di creoli cresciuta nella liberà e con la possibilità di studiare, anche musica, a stretto contatto con immigrati europei venuti nel nuovo mondo a cercare fortuna. Questo crogiolo di culture, basato sul fenomeno dell’immigrazione, ha favorito quantomeno un’integrazione musicale, facendo nascere così questa nuova musica. Questa caratteristica fondamentale del jazz é sempre rimasta viva nonostante la continua evoluzione stilistica e ancora oggi si basa su l’integrazione di altre musiche e altri stili, facendo del jazz una musica viva che fa bene all’umanità.
La questione dei confini da indagare è una delle caratteristiche del jazz, anche qui torniamo all’attualità, oggi si torna prepotentemente a parlare di divieti di attraversamento di confini, e si costruiscono muri, e dietro questi muri c’è la presunzione della superiorità di una razza o di un popolo rispetto agli altri. La musica jazz, sicuramente una delle più colte da sempre in circolazione, si è mai considerata superiore rispetto ad altri generi del campo musicale?
La musica jazz non ha mai avuto la presunzione di essere più colta delle altre, anzi ha dovuto combattere sin dalle origini per affermarsi come musica colta e non solo di intrattenimento.
“Cos’era? Non lo so. Quando non sai cos’è, allora è Jazz”, è una frase di Alessandro Baricco, secondo te quanto c’è di vero in un’affermazione del genere?
Non so se sia proprio frutto della penna di Baricco, é un concetto che é sempre stato presente fin dall’epoca del be bop. Una musica che ha creato un passaggio, dalla musica swing al jazz moderno. Ma in fondo penso che non ci sia molto di vero in questa frase, le musiche improvvisate sono tante e diverse.
“La grande sfida è conquistare il ceto medio, la gente che al jazz ci arriva non per educazione, ma per altre vie”, è una frase di Stefano Bollani, e anche qui torniamo alla stretta attualità, anche sui temi dell’integrazione si potrebbe arrivare a conquistare gli scettici per altre vie?
A dire il vero si, la musica jazz ha sempre colto i favori di una classe media di intellettuali fino ai tempi della rivoluzione culturale del ’68, dove il jazz assunse anche una valenza politica richiamando miglia di giovani ai propri concerti. Quello che stiamo cercando di fare, insieme ad altri direttori artistici, é di avvicinarci sempre di più ad un pubblico “popolare”.
John Coltrane ebbe a dire: “Vedete, io ho vissuto per molto tempo nell’oscurità perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci qualcosa di mio… Credo che sia stato con Miles Davis, nel 1955, che ho cominciato a rendermi conto che avrei potuto fare qualcosa di più”. E il Roma Jazz Festival cosa ha aggiunto di suo al panorama della musica jazz?
Quello che ho cercato di fare in tutti questi anni é di valorizzare il rapporto tra jazz e le altre forme d’arte. Un ricerca che continua ancora oggi con maggiore attenzione ai tempi dell’attualità.
Si racconta che il contributo italiano alla musica jazz sia stato straordinario, Nick La Rocca e Tony Sbarbaro sembrano essere stati i primi a essersi affacciati su questa scena musicale. Oggi il jazz italiano come sta a livello nazionale e internazionale?
Il jazz italiano é ancora oggi considerato tra i migliori a livello internazionale anche per l’apporto di molti giovani musicisti italiani che risiedono all’estero o che hanno avuto esperienza in altri paesi hanno dato quel tocco di internazionalizzazione alla nostra musica.
Arriviamo ai consigli per l’ascolto: sull’astronave che sta per partire si possono portare solo tre dischi, quali scegliere tra quelli degli artisti in programma a questa edizione del Roma Jazz Festival e perché?
Archie Shepp con ‘Attica Blues’ per la sua forza musicale e l’impegno politico e sociale; Kokoroko con ‘Kokoroko’ per il sound fresco e innovativo; Paolo Fresu con ‘Mare Nostrum’ per la sua poetica.
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Prevendite https://bit.ly/2ZfaPlh
Info: romajazzfestival@gmail.com; +39 06 69345132
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