Partiti e politici
Che senso ha ormai mantenere Roma Capitale d’Italia?
A distanza di quattro anni, un presidente del Consiglio chiamato a salvare il Paese e un sindaco stravotato dai cittadini perchè salvasse la loro città, hanno detto agli italiani che Roma non è in grado di sostenere una candidatura alle Olimpiadi. I motivi sono sostanzialmente gli stessi: da qui al giorno dell’eventuale investitura – per Monti l’orizzonte era il 2020, per la Raggi il 2024 – la capitale sarebbe sprofondata sotto i colpi della corruzione, divorata da debiti pregressi e prontissima a moltiplicarne di nuovi. È confortante che persone sommamente diverse, come il depressivo senatore e l’algida sindachessa, abbiano trovato una mirabolante sintesi comune nella negazione d’ogni speranza. Come se considerassero la città sostanzialmente morta. Difficili contraddirli su questo terreno: Roma “è” effettivamente morta. Ne è morta la cultura contemporanea (guardate come sono ridotti Gnam, Macro e Maxxi), è morto il cinema o quel che ne resta, è moribondo lo sport, il Vaticano non sta benissimo, sono morti gli stessi romani che vagano ormai come zombi per le via della città senza più alcun orgoglio di appartenenza. (Inutile e persino masochistico parlare di strutture e sovrastrutture, di mobilità, piste ciclabili, ecc., ci si fa solo del male in più). Roma mantiene una sua salda primazia nella guazza dei Palazzi del potere e nell’idea – davvero intramontabile – che qui si possa rubare impunemente, fare affari loschi con tanto di riverenza, modificare per via criminale la pari opportunità di accesso agli appalti pubblici. Ancora ieri, un dirigente sanitario ci diceva che a Roma “sei figo soltanto se rubi, se fai le cose storte e te ne vanti con amici e conoscenti”. Lo stesso presidente del Consiglio, l’attuale, non spende per Roma un pensiero positivo da tempo immemorabile, non ne elogia un sentimento, ha messo mano alla pratica capitolina soltanto quando si è trattato di mettere fuori uso il vecchio sindaco Marino.
C’è dunque – aperta – una monumentale questione istituzionale. Che sottende a una domanda che forse potrà apparirvi provocatoria ma che è soltanto l’ovvia conseguenza degli atteggiamenti di cui sopra: che senso ha che Roma rimanga capitale d’Italia se le nostre migliori istituzioni politiche la disprezzano, se non la considerano meritevole di uno scatto di reni, se pensano che il fenomeno della corruzione sia endemico, se certificano che non v’è speranza alcuna ch’essa possa rinascere dalle sue stesse ceneri?
Se centoquarantacinque (145) anni vi sembrano pochi, tanti sono dalla proclamazione di Capitale d’Italia, è giusto e doveroso chiedersi se Roma abbia diritto a una consistente proroga o se invece non sia arrivato il momento di interrogare sulla questione tutti gli italiani. Non per quel malcelato e volgare populismo dei terroni del Nord che la definirono «Ladrona», salvo poi adeguarsi allo sgavazzo dominante tra diamanti e mutande, ma per una serissima valutazione di costi e ricavi. Ossia, se quanto abbiamo ricevuto in questi anni da Roma capitale d’Italia in termini di prestigio, di valore culturale, di riconoscibilità sociale nel mondo, possa colmare il debito tragico di credibilità che la stessa città ha accumulato in questo lungo tempo, sino alle estreme conseguenze come la certificazione di un default istituzionale con gli atti pubblici di Mario Monti e Virginia Raggi (e il silenzio attivo di Matteo Renzi). In soldoni: che cosa ci guadagniamo a mantenere in vita un’ipocrisia – Roma capitale d’Italia – che in realtà ha tutti i tratti della disfatta morale?
Cambiare capitale d’Italia sembra una proposta irricevibile. Eppure è già successo, come tutti sapete. Sembra irricevibile perchè innanzitutto tocca la nostra tranquillità e le nostre certezze. E anche le nostre abitudini. Sembra irricevibile perchè i Palazzi sono qui e da qui ovviamente non si sposteranno (e poi non sarebbe neppure giusto, che rimangano e facciano il lavoro che devono fare). Sembra irricevibile perchè una vera alternativa non c’è mai stata e chi parla di Milano ora lo fa perchè ora Milano è fichissima, certo, ma per essere capitale d’Italia i requisiti debbono entrare nell’anima dei cittadini e lì soggiornare con orgoglio e senso dello stato (Milano fu indubbia capitale d’Italia quel giorno di Expo in cui i maledetti spaccarono tutto e il giorno dopo i milanesi scesero per strada con spugne e ramazze e ripulirono la “loro” città). Cambiare capitale d’Italia non è questione di una città contro l’altra. È questione più alta, molto più alta. È il nostro decoro, la nostra dignità.
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