Giustizia

Cassazione: nel “mondo di mezzo” non c’è mafia, il caso in una tesi di laurea

25 Ottobre 2019

Mafia Capitale”, l’enorme inchiesta giudiziaria che ha prima scandalizzato e poi bloccato Roma, invadendo prime pagine e copertine, giornali e tv, non era davvero “mafia”. A stabilirlo è la Cassazione, che annulla la decisione con cui la terza sezione della Corte d’Appello di Roma aveva disposto l’applicazione dell’art. 416 bis c.p., l’associazione a delinquere di stampo mafioso, per Salvatore Buzzi e Massimo Carminati. Quella formata dall’ex terrorista dei Nar e dal fondatore della cooperativa “29 Giugno” sarebbe dunque un’associazione a delinquere semplice che non integra il metodo mafioso.

Attorno alla vicenda si era creato fin da subito un forte clamore, sospinto dalla pubblicazione delle intercettazioni dei due imputati. «Tu c’hai idea de quanto ce guadagno sugli immigrati? il traffico de droga rende meno…» è la frase di Buzzi che più ha creato scalpore, facendo della questione un enorme fenomeno mediatico che si è imposto nei salotti televisivi, nelle colonne dei giornali, nelle aule di università e adesso anche nelle tesi di laurea.

«La trattazione ha l’obiettivo di focalizzare tutti i principali aspetti della cosiddetta criminalità dei “colletti bianchi”», spiega l’avvocato Antonio Bana, partner dello Studio legale Bana e correlatore di una tesi che ha ad oggetto proprio i fatti legati a Mafia Capitale, presso il dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli studi di Milano.

«Con la tesi firmata da Ivan Cartocci abbiamo cercato di indagare sull’evoluzione del fenomeno corruttivo anche alla luce di quello che è stato definito il “mondo di mezzo” e che è passato al vaglio di vari gradi di giudizio fino alla sentenza della Corte di Cassazione», aggiunge ancora Bana. Mafia Capitale, secondo quanto si legge nella tesi, «ha acquisito una fisionomia del tutto insolita di organizzazione criminale evoluta ad un nuovo stadio, in cui il ricorso alla violenza esplicita è limitato alle situazioni di necessità impellente ed in cui il “core business”, non riguarda più i reati tipici dei sodalizi mafiosi, ma è costituito dagli affari e dagli appalti pubblici, attraverso un ulteriore collegamento, questa volta clandestino, con l’alta finanza e la politica».

L’elaborato contiene anche un’intervista all’avvocato Valerio Spigarelli, già presidente dell’Unione Camere Penali Italiane, e – nel processo “Mondo di Mezzo” – difensore di Luca Gramazio, ex consigliere comunale e regionale. «Proprio perché non ha mai espresso atti di nessun tipo violenti, men che meno in ambito amministrativo, ed è priva di un consolidato patrimonio criminale precedente, può essere tutt’al più definita come “un’associazione virtuale” dal punto di vista dell’esplicazione del metodo mafioso», spiega il legale. Secondo Spigarelli sarebbe stato messo in atto «un esperimento di ingegneria giudiziaria che forza la lettera della legge, dimenticando sostanzialmente che l’avvalimento della forza dell’associazione di tipo mafioso deve essere esplicato, ovvero deve esistere una mafia riconosciuta e riconoscibile che si avvale realmente di questa forza di intimidazione in un determinato contesto non necessariamente spaziale, anche se obiettivamente risulta difficile ritenere che vi sia un’associazione per delinquere di stampo mafioso che non abbia come riferimento un ambito nel quale si avvalga della sua forza». Spigarelli chiarisce poi che la tesi giuridica «dell’esistenza di una mafia che non esplichi mai nel territorio atti di violenza, ma richiami un sorta di accumulazione del patrimonio delinquenziale di una persona, è una costruzione che non tiene conto dell’art. 416 bis nella parte in cui richiede un’esplicitazione diretta e non potenziale, cosa che non è riscontrabile in Mafia Capitale».

Nella tesi si legge ancora di come con Mafia Capitale si abbia «una sorta di metamorfosi da un profilo di criminalità violenta ad un profilo di criminalità affaristica, a più elevata inclusione sociale, frutto del modus operandi di una nuova sofisticata figura criminale che, nel ruolo di attore negoziale e garante del rispetto delle pattuizioni illecite, ottiene un enorme potere contrattuale attraverso le proprie capacità di agire nell’area di confine e di interloquire con i diversi livelli sociali, così da potersi servire delle potenzialità di entrambi».

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