Roma
Casamonica a Porta a Porta? Il problema è non averli incalzati
Non bastava l’umiliazione di un funerale stile Padrino, a Roma, la Capitale d’Italia. Non bastava il disprezzo mostrato dalla famiglia Casamonica nei giorni successivi, quando – interpellati dalla stampa – giustificavano la loro azione. Ci voleva la prestigiosa poltrona della Terza Camera, per completare l’opera. A Bruno Vespa, ahilui, non è parso vero di farsi cerimoniere della spettacolarizzazione dell’evento che ha umiliato non solo una città, ma l’intero Paese.
Nello studio di Porta a Porta, il giornalista ha concesso la ribalta totale ai familiari di Vittorio Casamonica. Senza aggiungere nulla rispetto alla discussione delle scorse settimane. Beninteso, il problema non è quello di averli invitati, bensì di non aver definito una scaletta incisiva della serata, che è stata tutta concentrata sulla cerimonia nella chiesa di Don Bosco, sulla musica del Padrino, sui manifesti che lo raffiguravano come Papa e tutto l’armamentario della comunicazione criminale emanata da quel funerale. Bruno Vespa, insomma, non ha sbagliato a chiamarli in studio, ma ha totalmente fallito l’impostazione del programma: chi conosceva Vittorio Casamonica? Chi frequentava nella vita quotidiana? Cosa faceva per vivere? E poi, perché al rito funebre erano presenti esponenti di alcune famiglie, anche della provincia di Napoli? I quesiti da sottoporre erano numerosi. E avrebbero dato un senso profondamente diverso alla puntata di ‘Porta a Porta’.
L’esperto giornalista Rai aveva la grande possibilità di fare un servizio pubblico di grande qualità, che avrebbe anche sollevato un dibattito sull’opportunità di ospitarli. Ma di sicuro il risultato sarebbe stato un altro, con un esito molto scomodo perché – evitando giri di parole – le affermazioni dei Casamonica avrebbero potuto provocare una scossa tellurica di violenza inaudita nella classe politica romana. E chissà forse anche in altri Palazzi del potere della Capitale. Si dirà: i due non avrebbero risposto, prendendo alla larga e proseguendo la beatificazione del ‘defunto’. Bene, allora li si poteva salutare, liquidandoli senza concedere ulteriore spazio e spiegando ai telespettatori che l’intento era un altro.
Da navigato cronista, Bruno Vespa aveva il dovere di impostare l’interlocuzione su ben altro registro, risparmiando i monologhi dei rampolli della famiglia che ovviamente sminuivano tutto, elargendo giustificazioni scontate. Il sorrisetto sardonico per deridere le sgrammaticate affermazioni dei Casamonica non ha strappato alcun sorriso al pubblico più avveduto, poiché gli “ospiti speciali” sciorinavano tesi che superavano il confine del surreale. E non c’era nessuno pronto a replicare con immediatezza, a incalzarli secondo per secondo come dovrebbe fare un giornalista.
Bruno Vespa avrebbe dovuto indossare i panni dell’inquisitore di un programma di informazione, invece che del bonario presentatore di una trasmissione di intrattenimento. Per questo è giusto ribadire che il problema non è stato quello di aver dato visibilità a personaggi del genere, ma di aver portato il confronto sul loro territorio prediletto: quello dello show, dello sragionamento e addirittura della giustificazione, che li ha resi quasi una ‘simpatica macchietta’. Ma che ha finito quasi per far sembrare Vittorio Casamonica una malcapitata vittima di accanimento mediatico.
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