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Caput mundi de noantri

2 Dicembre 2023

Ma siamo proprio così sicuri che perdere l’Expo 2030 sia stata una sconfitta? Riflettendo per bene, alla fine, non credo sia uno svantaggio. La percezione di Roma nell’immaginario collettivo non è mai stata di una città all’avanguardia, almeno nei tempi moderni. Di sicuro lo era ai tempi dell’antico Impero, o nel Rinascimento, ma diciamo che dal Settecento in poi è sempre stata un’anticaglia piena di anticaglie, e pure anticaglia travestita da moderno autarchico, durata lo spazio di vent’anni nel Novecento, nella brevissima, per fortuna, stagione del Fascismo. Non è bastato nemmeno ridurre i confini del papato alle mura vaticane per farla evolvere.

Roma è una cartolina illustrata, un videogioco dove far combattere i finti gladiatori, un pellegrinaggio per i fedeli cattolici o per gli amanti dell’arte, essendo un museo a cielo aperto che racchiude tutto.

Ma il museo interessa assai poco oggi, almeno per chi organizza le Esposizioni Universali. Né Roma potrebbe offrire chissà quali spazi per costruire una nuova città per ospitare di queste cose, che oggi richiedono aree vastissime e una rete di servizi che costerebbero milioni di euro che l’Italia sarebbe meglio spendesse in maniera più adeguata. Cosa che, con questo governo soprattutto, non avverrà MAI.

Le facce scure per le percentuali di voto, come se si fosse perso l’unico treno per il futuro, mi sembrano assolutamente ingiustificate. Di certo, se fosse stata scelta, avremmo visto il presidente Meloni fare un viaggio in pallone aerostatico sulla città distribuendo santini dall’alto, Garbatella Forever. Purtroppo per lei è rimasto un sogno nel cassetto, Roma non è appetibile per i rapaci del Golfo e i loro seguaci. L’abbiamo scampata.

La scelta di Riad la dice assai lunga: un paese canaglia come l’Arabia Saudita, terra di un nuovo Rinascimento secondo certi buffoni di corte toscani, proiettato in un futuro tecnologico fittizio, dove si pretenderebbe costruire una città lineare nel nulla, creando una specie di Corviale, la stecca, il mostro edilizio, non lungo un chilometro ma centinaia. Già solamente concepire una simile idea è sintomo di patologia gravissima, da farli rinchiudere in una stanzetta imbottita e non permetter loro di uscire mai più. Ma si sa come sono i sauditi: distruggono città antiche come Awamyia e poi progettano nuove città lineari.

https://www.bbc.com/news/world-middle-east-40937581

La terra del nuovo Rinascimento impedisce alle donne di andare in giro come vogliono, di fare come vogliono, di essere ciò che vogliono. Se si volesse parlare di patriarcato lì ci si potrebbe fare una tesi di laurea.

Sarebbe la cosa più sensata che tutte le democrazie, o presunte tali, si rifiutassero di avere un padiglione nell’Expo 2030 di Riad, se la cantino e se la suonino i sauditi a forza di grattacieli più alti del mondo e di schiavi utilizzati per costruire la nona e decima meraviglia del mondo. Basta continuare ad appoggiare questi ipocriti e dolersi della mancata elezione. Tutto sommato, forse, è una chance inaspettata del Fato a salvare Roma da ulteriori speculazioni edilizie e città espositive poi totalmente abbandonate come è successo a Siviglia, per esempio, un ammasso di ruggine costato miliardi.

https://www.urbex.nl/expo-92/

Spendiamo i miliardi per migliorare i servizi già precari, a Roma e altrove, rendiamo le città più fruibili per i cittadini e i visitatori. Saranno poi le presenze negli alberghi a stabilire quanto la città eterna è veramente tale. Riad avrà il suo momento di gloria rinascimentale di sei mesi e poi tornerà a essere il solito ghetto per ricchi negrieri. E, possiamo dirlo? Chi se ne frega di Riad? Rendiamo il nostro Paese un po’ più antisismico (solo un pochettino, via), risaniamo il territorio, diamo spazio ai nostri giovani scienziati, ingegneri, medici, artisti, troviamo fonti energetiche alternative e autoctone e forse il mondo guarderà all’Italia come la vera sede di un nuovo Rinascimento. Eliminiamo una volta per tutte il progetto del Ponte di Messina e creiamo ponti di solidarietà con certa Africa e certa Asia, ma di quella vera. Le monarchie assolute lasciamole marcire nel loro fango.

Utopia? Forse. Ma almeno è un punto da cui ripartire, anche se se ne realizzasse solo un pezzettino sarebbe un successo.

2 Commenti
  1. La decadenza di Roma comincia nel tardo Settecento. Per tutto il secolo XVII e per una buona metà del XVIII resta ancora, almeno nell’arte e nella poesia, avanguardia mondiale: inventa il barocco e poi il rococò, vale a dire l’arte del moderno. Anche se invenzione di architetti e artisti non romani, Borromini è addirittura non italiano, perché ticinese. Ma Metastasio è romano, ed è per più di un secolo il modello di teatro musicale europeo. Il declino della città è colto molto bene da Leopardi nel suo carteggio: una città di eruditi e antichisti, ma che non sa niente dell’oggi, i “moderni” che vivono a Roma non sono romani, ma sono gli estimatori e amici di Leopardi, tra cui il tedesco Niebuhr. Roma è di nuovo una città guida, nel teatro, nel cinema e nella letteratura nel secondo dopoguerra. Dagli ultimi anni ’80 di nuovo il declino. Ma è il declino anche dell’Italia tutta. Che dura tuttora. E il CENSIS lo registra. Sarà un particolare marginale, ma il declino romano è avviato dall’amministrazione di Alemanno, che oggi addirittura si pone a destra degli stessi Fratelli d’Italia. I quali hanno occupato Palazzo Chigi. Ed è una romana ad occuparlo, osannata da una grande fetta dell’elettorato italiano, come allora una immensa fetta dei romani aveva per due volte osannato Alemanno. I presagi sono cupi, a mio avviso. Come se la catastrofe romana cominciata con Alemanno si estendesse all’Italia tutta – spero proprio di no! – un’ottimo preludio alla definitiva emarginazione dell’Italia non solo dai paesi dell’Occidente, ma del mondo intero. E non mi sembra che gli italiani, come allora i romani, diano segni di svegliarsi dal loro torpore. Cicli della storia? Certo che quando leggo un nuovo romanzo o di lingua spagnola, o inglese o francese, leggo uno sguardo aperto a quanto accade oggi nel mondo. Quando leggo un nuovo romanzo italiano non solo non riesco – salvo rarissime eccezioni – a superare le prime dieci pagine, ma leggo uno sguardo che non solo non è aperto sul mondo, ma è ossessivamente puntato all’ombelico dello scrivente, bensì anzi non leggo nessuno sguardo, perché anche quello sull’ombelico, è una cartolina illustrata con le solite frasi di saluti di una cartolina, e non c’è in realtà nessuno sguardo. Più o meno due secoli fa Leopardi scriveva dell’Italia quasi le stesse cose nella sua attualissima Descrizione del costume attuale degli Italiani.

  2. Grazie, Villatico, per l’arricchimento storico. Sono d’accordo sui romanzi italiani. Dovrebbe leggere i miei, le piacerebbero. Ma gli editori italiani sono troppo occupati a pubblicare proprio quelli dei quali lei non riesce a superare le prime dieci pagine.

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