Roma

Buona volontà e senso civico: la banalità del bene di #Romasonoio

29 Luglio 2015

Perché un cittadino che paga la tasse e i tributi e non getta l’immondizia dove capita dovrebbe armarsi di scopa e ramazzare Roma, rispondendo all’appello di Alessandro Gassman? Perché non è semplicemente l’utente di un’azienda di servizi, ma un membro di una comunità. Dopodiché, è chiaro che Gassman non ha proposto d’istituire una sorta di “sabato fascista”, con l’obbligo di andare a pulire il proprio quartiere, la propria strada, il proprio cortile. Ha soltanto proposto alle persone di buona volontà di darsi da fare, in un momento di crisi evidente.

Una cosa banale, se considerate che da anni Legambiente ripete ogni anno la campagna “Puliamo il mondo” tra la simpatia generale. I cittadini con la ramazza salveranno Roma? Non da soli, perché se non cambia il sistema, Roma sarà ciclicamente invasa dai rifiuti. E cambiare il sistema significa, per essere chiari, disporre di un numero sufficiente di impianti di trattamento dei rifiuti, avere una o più discariche di servizio in città, sostenere la raccolta differenziata spinta. Cose per cui occorre comunque un po’ di tempo, visto che la Capitale è vissuta per un trentennio in un contesto di monopolio della raccolta dei rifiuti (sì, lo so, bisognerebbe entrare nel dettaglio, ma questo non è un reportage: se volete sapere di più sul sistema-Roma, leggete qui.)

Permettetemi di cambiare un attimo, solo apparentemente, argomento.

Chi come me ha figli avrà dovuto fare già i conti con le richieste di contributi volontari e altri tipi di “aiuti” dalle scuole, dai fogli per le fotocopie alla carta igienica. Personalmente, non mi sono mai sottratto, anche se pago regolarmente le tasse, i bollettini per la mensa eccetera eccetera. Non lo trovo normale, so che è la conseguenza di scelte politiche (meno soldi per l’istruzione, o anche, spesso, soldi spesi male) ma mi rendo conto che la situazione è spesso drammatica, e in questo caso aiuto anche direttamente i miei figli e gli altri bambini.

Cosa voglio dire, che ci dobbiamo serenamente rassegnare? Non penso. Che dobbiamo continuare a invocare un modello, quello dell’istituzione-azienda, che non so neanche quando mai abbia davvero funzionato, in Italia? Per anni, da bambino, ho fatto i doppi e tripli turni a scuola. E per anni ho trovato ogni lunedì la mia pineta sporca, quando ancora non esistevano i migranti, ma i romani buttavano i rifiuti dei loro pic-nic dove capitava (anche perché nessuno aveva pensato a mettere cestini).

Allora, cosa? Allora prima di tutto dobbiamo scoprire, o riscoprire, il nostro senso civico, perché quando parliamo di una città sporca, parliamo di un bene comune a rischio, non di uno spazio altrui. Ma insieme, dobbiamo rivendicare più potere in quanto cittadini – e per me cittadino è chi vive e lavora in città, non solo chi ha la residenza formale o il diritto di voto – non solo nelle scelte, ma anche nella gestione. Il modello-azienda, io-pago-tu-presti-servizi, ha dei limiti evidenti. Adottare uno spazio verde, vedersi ridurre la tariffa dei rifiuti se si è virtuosi nella raccolta differenziata, poter “votare” la performance di chi pulisce sono solo esempi di quello che si potrebbe fare.

Come, tornando alla questione della scuola che richiamavo, sono esempi la possibilità di pesare di più come componente genitori nelle scelte degli istituti (soprattutto quelle economiche), di contribuire a valutare i servizi e gli insegnanti, di poter usare gli spazi scolastici per condurre anche altre attività.

Massimiliano Di Giorgio

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