Roma
Atac: perché chi ieri ha fatto sciopero bianco andrebbe licenziato
Non è stato un giorno di normale disagio, quello a cui sono stati costretti ieri i pendolari romani.
Ore 9:00 del 7 luglio, stazione Termini, principale nodo di scambio del trasporto pubblico cittadino. Quando arrivi, già stremato dal caldo, ti viene quasi da piangere. Le banchine della Metro (sia A che B) sono talmente affollate che qualcuno, spintonato, corre il serio rischio di cadere sui binari.
L’assenza d’aria, l’affollamento e l’isteria collettiva per i consistenti ritardi fanno il resto, rendendo l’attesa del convoglio un’esperienza decisamente non raccomandabile ai deboli di cuore.
Quando finalmente passa il treno, dopo circa dieci minuti, speri che sia finita lì, ma sui vagoni la situazione è ancora peggiore. I treni sono lenti, affollati all’inverosimile. Ad ogni stazione la ressa si rinnova, le porte si chiudono a fatica, altri spintoni, altre grida rabbiose. Qualcuno, esasperato, scende, perché proprio non ce la fa più. Aspetterà il prossimo convoglio, sperando in una situazione migliore. Ma la sensazione è che aspetterà a lungo. E invano.
Ma perché tutto questo? È evidente che i treni che passano, in questa afosissima mattina di luglio, sono pochi, troppo pochi. Qualcosa non va, deve esserci per forza un motivo.
E infatti il motivo c’è.
Già, perché a Roma, da qualche giorno, è in corso un vero e proprio “sciopero bianco” da parte di alcuni macchinisti dell’Atac, che da tempo si oppongono all’operazione di riorganizzazione indetta dal Comune e dall’azienda per rendere più efficiente il servizio.
Già venerdì scorso, infatti, le due linee metro e la Roma-Lido avevano subito forti disagi costringendo Atac ad attivare un attento monitoraggio per valutare se fossero in corso «fenomeni correlati ad iniziative individuali dovuti all’applicazione, anche al personale operativo, del sistema automatico di rilevazione delle presenze in uso per il restante personale dell’azienda. Se venisse confermata tale ipotesi – aveva detto Atac – l’azienda è pronta a procedere denunciando i responsabili per interruzione di pubblico servizio».
Ebbene, quella che venerdì era ancora un’ipotesi, ieri è diventata una realtà.
Ma in cosa consiste questa tanto contestata riorganizzazione da parte dell’azienda?
Per i macchinisti, le conseguenze principali sono essenzialmente due: la prima il passaggio dell’orario di lavoro dalle attuali 700 ore di annue a 950, in armonizzazione con i tempi di lavoro di altre città italiane come Napoli (si badi, con tutto il rispetto, non Berlino o Amsterdam). La seconda è l’obbligo di strisciare un badge elettronico a inizio e fine turno.
I macchinisti, in altre parole, dovranno timbrare, come tutti i lavoratori, l’entrata e l’uscita dal lavoro. Una condizione, unita al riallineamento dell’orario di lavoro agli standard delle altre metropoli, che non è andata giù a buona parte dei dipendenti, e che ha scatenato l’ennesimo sciopero della categoria.
“Ho preteso che da poche settimane i macchinisti della metropolitana timbrino il cartellino di entrata e di uscita come fanno tutti i lavoratori della nostra città” ha dichiarato ieri il sindaco Ignazio Marino, molto infastidito dall’intera vicenda. “Noi abbiamo diritto di avere una metropolitana, anzi tre, che funzionino come quelle di una capitale di un paese del G7. Trovo inaccettabile che i macchinisti a Milano guidino 1100 ore, a Napoli 950 e a Roma solo poco più di 700″. Il caso degli scioperi ormai senza controllo a Roma è finito anche nel mirino dell’Autorità garante, che ha chiesto chiarimenti urgenti alla Prefettura di Roma e all’Atac, al fine di valutare eventuali sanzioni per i singoli dipendenti che hanno concorso ad una non preannunciata “interruzione di pubblico servizio”.
Intanto, come al solito, a rimetterci sono i normali cittadini, oltre che l’immagine della città.
Come è già stato giustamente notato da Stefano Iannaccone proprio su Gli Stati Generali, c’è da chiedersi cosa avranno pensato le migliaia di turisti che ieri mattina, magari, volevano spostarsi dal Vaticano al Colosseo, utilizzando la metro per risparmiare tempo e sfuggire all’afa, e che invece si sono ritrovati in qualcosa di molto simile ad un inferno dantesco? Cosa racconteranno di Roma, tornati nei rispettivi paesi?
La risposta è facile da immaginare, e difficile da digerire.
Parliamoci chiaro: di questo caos, davvero vergognoso, troppo spesso si chiede conto all’amministrazione comunale. E invece, forse, è il momento di dire apertamente che dovrebbero cominciare a rispondere delle loro azioni i lavoratori (e le sigle sindacali) che ormai quasi settimanalmente indicono scioperi più o meno autorizzati (giorno preferito, stranamente, il venerdì, che un ponte lungo per andarsene al mare non guasta mai) contro l’Atac e più in generale contro il Comune, spesso con fini unicamente politici (tradotto: l’intento è far cadere un sindaco considerato scomodo).
L’attacco frontale lanciato da Marino ai privilegi acquisiti da svariate categorie (tanto per dirne qualcuna balzata recentemente agli “onori” delle cronache: tassisti, possessori di camion bar in centro, vigili urbani, macchinisti etc…) sta scatenando un vero e proprio terremoto nella città, con pesantissime ripercussioni per la popolazione.
Ma è un terremoto necessario, perché le radici di questo sistema malato sono radicatissime nella capitale. E sradicarle, all’inizio, non può che provocare qualche disastro.
A Roma, d’altronde, è in corso da qualche mese una vera e propria battaglia per la sopravvivenza stessa della città. Il sindaco Ignazio Marino, pur con tutti i suoi limiti, ha portato in Campidoglio un’onestà ed una fermezza nel far rispettare regole e legalità che Roma probabilmente non vedeva da decenni. Ed è questo, essenzialmente, il motivo per cui così tanti lo vorrebbero far cadere.
Ma i romani, in questo terremoto, devono avere la lucidità di comprendere le vere cause dei loro disagi, ed avere la forza di chiedere al sindaco ancora più coraggio, ancora più fermezza contro quella fetta di cittadini lassisti, sfaticati e corrotti che hanno rovinato Roma negli ultimi decenni e che non si fanno scrupolo di affossarla quotidianamente pur di difendere i loro privilegi.
Perché mafia capitale non è solo quella degli scandali da prima pagina e degli enormi giri di denaro, ma anche quella di chi porta a casa uno stipendio passando metà delle sue giornate in pausa caffè, in sciopero o in malattia.
Di gente che ha voglia di lavorare, e di lavorare sul serio, a Roma ce n’è tanta.
Si faccia spazio per loro. Per gli altri, il messaggio deve essere chiaro, non c’è più posto.
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