Governo

Anche Marino ha scherzato: per tutti Roma è solo un gioco

1 Aprile 2016

Si era proposto come il marziano che ripulisce la capitale dal malaffare, invece ha dimostrato di essere più realista del re. Con la decisione, annnunciata ieri, di non candidarsi alla guida di Roma, Ignazio Marino ha interrotto bruscamente il sogno di quanti avevano creduto in lui, trasformando la presentazione del suo libro, “Un marziano a Roma”, che andrebbe letto soprattutto per le pagine mancanti, più significative di quelle scritte, nell’ennesimo capitolo di una telenovela che forse non finirà a breve.

Qualcosa deve essere accaduto tra la conferenza di mercoledi presso la sede della Stampa Estera e l’evento di ieri alla libreria Feltrinelli di via Appia. Due giorni fa Matteo Renzi veniva dipinto come “un pericolo della democrazia”, mentre i compagni di partito come loschi figuri che lo avrebbero condotto “in cella d’isolamento”. Ieri, invece, di fronte al suo popolo, a una parte di Sel capitolino e agli uomini della giunta che fino all’ultimo lo hanno sostenuto (Giovanni Caudo, Alessandra Cattoi, Francesca Danese e il vicesindaco Luigi Nieri, che si dimise nel luglio del 2015), anche i toni verso il presidente del consiglio sono parsi decisamente più tenui. D’altronde l’obiettivo era già stato raggiunto: alzare il volume al massimo, senza essere allontanto dal suo partito, facendo tirare più di qualche sospiro di sollievo al commissario romano Matteo Orfini, che temeva la sua candidatura. Per molti, la vera partita di Marino è quella nazionale in seno al Pd, affiancato magari da quella minoranza guidata da Massimo D’Alema, alla ricerca perenne di qualcuno da anteporre al premier Renzi in vista del congresso.

E’ così che Roma Roma diventa solo uno sfondo e il libro un’abile, quanto scontata, mossa di mercato per iniziare a sondare il terreno oltre la città. Se fosse solo marketing, tuttavia, non ci sarebbe nulla di male. Invece dietro l’operazione di Marino, che ha tenuto in stallo per mesi una parte del popolo del centrosinistra, per poi proporre a ridosso delle elezioni l’immancabile “uomo della società civile”, c’è tutta la perdita di valore della città di Roma, vessata da oltre venti anni di malagestione e senza prospettive concrete per il futuro. Inchieste giudiziarie a parte, l’ex sindaco, più di ogni altro poteva essere mosso da uno spirito di sana rivalsa per trovare il coraggio e la voglia di correre nuovamente per il Campidoglio, come per mesi gli hanno chiesto i suoi elettori. Invece ha deciso di farsi da parte, utilizzando al tempo stesso la città e la sua tragica esperienza romana, per non meglio precisati obiettivi futuri. 

In questa gara, che vede Roma periferia estrema dell’impero, e non più capitale del paese, Marino non è solo, ma in buona compagnia. Che Roma sia solo un mezzo e non un fine è un dato evidente per quasi tutti i partiti. Lo è per i 5 Stelle e Virginia Raggi, che dal giorno della (prevista) vittoria delle comunarie, invece di girare i quartieri ha iniziato ad invadere i salotti televisivi nazionali e le riviste patinate. Lo è per il Pd e per Roberto Giachetti, costretto a candidarsi dal presidente del consiglio Matteo Renzi, e autore di una campagna elettorale, finora, all’insegna dell’oblio. Lo è per Stefano Fassina, la cui candidatura, sostenuta da Sinistra Italiana, non nasce certo dal basso, ma risponde esclusivamente a logiche di riposizionamento di transfughi del Pd. La stessa candidatura di Giorgia Meloni, che, fra tutti gli aspiranti sindaco, sarebbe l’unica ad avere un radicamento con il territorio, è stata calata dall’alto, dopo le perplessità suscitate dall’altro candidato del centrodestra, Guido Bertolaso, voluto da Silvio Berlusconi. In questo groviglio di interessi, fazioni e posizionamenti strategici, Roma, i suoi problemi, ma soprattutto la sua futura autonomia politica, rimangono totalmente in disparte, senza che nessuno se ne dispiaccia veramente. Parafrasando Marino, non è politica, ma solo una brutta copia di Risiko.

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