Roma
Adesso chi vuole sovvertire l’esito di democratiche elezioni ci metta la faccia
“Ho deciso di ritirare le dimissioni presentate il 12 ottobre”.
Con questo lapidario annuncio su facebook Ignazio Marino ha appena comunicato di aver ritirato le sue dimissioni da sindaco di Roma. Il chirurgo torna quindi ad essere a tutti gli effetti primo cittadino della Capitale, come la legge in merito gli consente (il termine di venti giorni per il ritiro sarebbe scaduto il 2 novembre).
La notizia, che in realtà era già nell’aria da qualche giorno, aveva ulteriormente preso consistenza nella giornata di ieri, a seguito del nulla di fatto venuto fuori dal serrato confronto tra Ignazio Marino e Matteo Orifini, capo del PD romano e fedelissimo di Matteo Renzi, e ha trovato conferma definitiva oggi pomeriggio.
Gli scenari che si aprono ora per la Capitale sono ancora piuttosto nebulosi, ma l’ipotesi più probabile è che la giunta Marino verrà comunque sciolta dalle dimissioni di massa dei suoi consiglieri, già da tempo annunciate.
Per staccare la spina al sindaco in Consiglio comunale servirà il passo indietro di tutti i 19 consiglieri capitolini Dem, ma non solo: in base al Testo unico degli enti locali, infatti, lo scioglimento del consiglio avviene solo con le dimissioni contestuali della metà più uno dei membri. Essendo 48 i consiglieri, serviranno dunque le dimissioni di almeno 25 di essi. Numeri che comunque dovrebbero poter essere facilmente raggiunti se, come è facile credere, qualcuno delle opposizioni dovesse collaborare con i democratici.
Marino, quindi, nonostante questa sua mossa, potrebbe comunque avere i giorni contati come primo cittadino. Con una differenza però niente affatto trascurabile: che adesso, chi deciderà di far cadere un sindaco eletto attraverso democratiche elezioni e con percentuali bulgare (63,9%) dovrà metterci faccia, nome e cognome. E non sarà più sufficiente rimanere comodamente nella penombra, affidandosi a qualche scontrino.
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