Città
Roma e quegli amici degli amici che da 60 anni ammazzano ogni ipotesi liberale
Qui a Roma succede qualcosa di orribilmente comico. La Procura ha spazzato via mezza città che ha goduto sotto la gestione Alemanno di amplissimo credito – prebende, tangenti, affari sporchi, potere su tutto, prevaricazione costante. L’accusa per questa «organizzazione» (37 persone al gabbio, come direbbero loro, e chissà quante altre «en train de») è di associazione mafiosa. Pignatone, che coordina le indagini, offre del fenomeno una sceneggiatura perfetta: «C’è una mafia Capitale, tutta romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionale, di cui però usa il metodo mafioso e con cui si confronta alla pari. Non ha una struttura precisa, ma ha la capacità essenziale di creare equilibri tra mondi diversissimi tra loro».
Dobbiamo sinceri ringraziamenti al procuratore Pignatone perché con un paio di squarci lessicali ha descritto perfettamente questa città, il suo modo di vivere, l’idea che tutto e sempre si tiene, la sensazione che se non ti adegui a un certo modo di pensare non potrai mai accedere alle opportunità a cui avresti diritto, il pensiero in costante evoluzione che un limite – il limite – si può spostare sempre più in là, che esiste in un certo posto, in un certo momento, una persona che potrà risolverti «quel» problema. Tutto questo è Roma e chi vi scrive ha dedicato a questa filosofia ampia parte del suo interesse giornalistico.
Questa inchiesta (giudiziaria) ha qualcosa di clamoroso perché, se possibile è la prima, vera, ampia, dettagliata, inchiesta giornalistica su Roma. Come mai prima. Perché è vero che i pm ragionano su fatti, circostanze, intrecci, riscontri, tutto ciò che è materiale presumibilmente probatorio e che poi formerà l’asse accusatorio nel processo, ma al tempo stesso i giudici devono aver ragionato in profondità sulla complessità del potere di Roma, sulla sua unicità, sui suoi meccanismi, sono entrati in quella stessa mentalità e hanno goduto del privilegio e del vantaggio di costruire la loro inchiesta su un intreccio filosofico finalmente “disvelato”. Resta da capire perché è il procuratore Pignatone il primo a descrivere con tale nettezza di immagini il potere a Roma, ma questa è una malizia da porto delle nebbie. Per cui nelle nebbie rimarrà.
Questo potere di Roma ha ucciso nel corso di mezzo secolo qualunque ipotesi liberale si sia mai affacciata sulla soglia della città eterna. L’ipotesi liberale secondo cui un imprenditore, un ricercatore, un medico, insomma qualunque mestiere abbia nutrimento dal merito, potesse accedere a ciò che gli spettava semplicemente per titoli e non invece, com’era consuetudine putrefatta, attraverso gli amici degli amici. Questo potere di Roma ha inquinato per sempre il pozzo delle pari opportunità.
E ora veniamo alla parte orribilmente comica di tutta questa vicenda. C’è tutta una parte di cittadini romani che ha in odio il sindaco Marino, cittadini non necessariamente di destra e poi vai a capire quando si sceglie un sindaco cos’è di destra e cosa di sinistra. Ma comunque. Quest’orda di benpensanti, secondo la semplificazione belluina per cui «tutto è meglio di Marino, tutti sono meglio di Marino», ha cominciato da giorni un parallelismo fesso con l’ex sindaco Alemanno, che da dimenticabilissimo primo cittadino e dopo aver fatto un’emerita mazza per la città, è rientrato dalla finestra come eroe di Roma attraverso le scorregge metropolitane di questi benpensanti. I quali, stasera, scorrendo i titoli dei telegiornali, in cui tutti i favoriti dell’ex sindaco soggiornano nelle patrie galere e lui medesimo è indagato, mangeranno in silenzio la loro minestrina paralitica.
Ps. è ovvio, dal momento che a Roma tutto si tiene, che nell’inchiesta siano coinvolte anche persone di sinistra.
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