Letteratura
Simona Moraci: “Parigi, l’amore e l’Eterno che abita in ciascuno di noi”
Intervista alla scrittrice messinese, in libreria dallo scorso 24 novembre con “L’Eterno” noir fantasy edito da Marlin
Si intitola “L’Eterno” il nuovo libro di Simona Moraci, edito da Marlin (pag. 256 ) nella collana “Mondi Sommersi”, disponibile in tutte le librerie. Dopo il grande successo di “Duecento giorni di tempesta“, pubblicato sempre dalla stessa casa editrice, vincitore del Premio l’Iguana Anna Maria Ortese 2021 e candidato all’edizione del Premio Strega 2022, la raffinata scrittrice siciliana, compone pagine ricche di profondo pathos narrativo, miscelando in modo magistrale, la struttura del genere fantasy noir, con una fitta tela sentimentale, chiamando per nome le miriadi di emozioni che sferzano le esistenze dei protagonisti, in una Parigi dei giorni nostri, del post Bataclan, struggente e ipnotica come non mai.
Simona Moraci, nata a Messina, scrittrice, giornalista professionista e insegnante. Ha pubblicato altri romanzi come: I confini dell’anima (1996) e Giornalisti, e vissero per sempre precari e contenti (2014) e, in edizione Marlin, Duecento giorni di tempesta (Premio L’iguana – Anna Maria Ortese 2021),presentato al Premio Strega 2022 dallo scrittore e giornalista Aldo Cazzullo. Collabora con il quotidiano “Gazzetta del Sud”, di cui è stata redattrice per un lungo periodo.
Simona, dopo il grande successo di “Duecento giorni di tempesta” edito sempre da Marlin, sei tornata in libreria con un romanzo noir fantasy che si intreccia con il gotico e declina in modo assai reale, le dinamiche del sentimento più importante nella vita di ognuno di noi: l’Amore. Come è nata l’idea di sperimentare una combinazione scrittoria di più generi?
“Dopo “Duecento giorni di tempesta”, avevo voglia di scrivere un altro libro, che fosse completamente diverso, ed alla fine ho optato per il thriller. In realtà, “l’Eterno”, era nel cassetto già da un po’ ed andava rivisto. La storia trae spunto dalle passioni di gioventù. Tra cui il mio grande amore per la letteratura gotico-decadente, per autori come Stoker, Le Fanu, Polidori. Ed anche Ethan, conserva delle caratteristiche dei personaggi tratteggiati da questi autori, pensiamo alla collera del Dracula di Stoker per esempio; alla bellezza fredda di Lord Rutven di Polidori, alla sensualità di Carmilla. Quindi tutte queste suggestioni letterarie frutto dei miei studi di antropologia e storia delle religioni, hanno certamente influenzato il mio modo di scrivere questo libro”.
Come mai hai ambientato il romanzo a Parigi? E quale spaccato della Ville Lumière hai voluto rappresentare in queste pagine?
“La scena è Parigi, perché ci ho vissuto parecchi anni per motivi personali. Mi sono trovata, un po’ come Irene la protagonista femminile del romanzo, ad avere una casa, un amore parigino, per cui ho la mia Parigi, quella che ho vissuto, in più di sedici anni, i miei posti del cuore, annotando proprio come sia cambiata la città intera, soprattutto dopo la parentesi luttuosa del Bataclan. Ho visto una Parigi molto sofferente, molto più cupa. Di contro, ho avuto però, anche la possibilità di ammirare la grande capacità dei francesi di risorgere, di stringersi ed unirsi per ritrovare la luce. Un po’ come il senso racchiuso nel titolo stesso dell’opera. Un viaggio che porta, ineludibilmente, alle resurrezione dalle tenebre, riscoprendo sè stessi”.
Quanto c’è di autobiografico nel romanzo. In cosa ti somigliano i protagonisti. Irene, in primis?
“Tra le note autobiografiche con cui ho caratterizzato i personaggi, c’è proprio una mostra sul romanticismo nero, che ho seguito, ai tempi in cui scrivevo per una testata italiana molto importante, ecco un parallelismo con l’attività di giornalista di Irene. Una esperienza, quella del giornalismo, che è rimasta nel mio cuore. In Irene e Sandro, l’altro protagonista, c’è molto della mia mia vita. Gli anni più divertenti. Per esempio i nomi presenti nel libro, sono simbolici e rappresentativi del ruolo dei vari personaggi, anche se ciascuno si connota per una marcata ambivalenza tra le pieghe della narrazione. Ethan, in ebraico significa l’eterno, Irene significa pace e Alexander, significa colui che difende gli uomini (da Aléxandros). Una figura a cui sono molto legata, è Laurent che raffigura il bene. Forse l’unico personaggio puro in cui tutti gli altri si identificano, fondendosi in un unicum. Ad ogni modo credo che, quando un autore scrive, inevitabilmente, metta nero su bianco un po’ di sè”.
Cosa rappresenta per te la scrittura e come concili la tua attività di scrittrice con quella di insegnante?
“Ritengo di avere con la scrittura, un rapporto simbiotico. A partire dall’avere scelto di diventare giornalista professionista, e poi insegnante. Un comune denominatore che si ricollega all’importanza della parola. Sono solita portare tutto ciò che sono anche in classe, quando insegno. Certo, insegnando, il tempo da dedicare alla scrittura, è prettamente notturno. Ma mi diverte e appaga così”.
Leggendo il testo, ciò che impressiona positivamente, è la velocità con cui si susseguono eventi ed emozioni. Un climax suggestivo e coinvolgente che si sposa alla perfezione con il noir, pur evidenziando la parte interiore dei personaggi, quindi con una forte connotazione introspettiva. Quale è il messaggio che si cela tra le righe de “L’Eterno”?
“Un messaggio d’amore. Di rinascita. Un po’ quello che ho imparato vivendo a Parigi. Ossia che si possa risorgere anche dalle ombre più cupe”.
Quali sono le prossime presentazioni del libro?
“Il 27 gennaio a Messina, al Circolo del Tennis, con lo scrittore Luigi la Rosa, a cui sono particolarmente grata e che tra l’altro, vive a Parigi. Ancora, l’11 febbraio a Catania, con la scrittrice Barbara Bellomo”.
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